su "Gli Stranieri", di Jean-Paul Charles
Un passo al di fuori sta il pittore,
affacciato all'intuizione, con il raggio d'azione delle mani stretto
saldamente dalla vista. Ma l'artista scavalca ogni confine e lascia
tracce, depone come uccello il suo carico futuro: fardello di monaco in passaggio, straniero spaesato di fronte al santuario, stazione
sperduta del pellegrinaggio.
Le reliquie sono sue: le sue parti dipartite. La sepoltura è ormai conclusa: defunto ed interrato, il suo pianto rigermoglia già nell'altro. Penitenza è consumata nelle asperità del viaggio, devozione è collaudata sulla gratuità dell'atto, il coraggio visitato in ginocchio al colonnato. Povertà ritorna sempre, tre volte ogni giornata, tradita nella notte, dai fumi amplificati, prima che il gallo abbia cantato: l'imbarazzo dell'affronto lascia l'uomo liberato, peccato necessario, ammesso e perdonato.
Le reliquie sono sue: le sue parti dipartite. La sepoltura è ormai conclusa: defunto ed interrato, il suo pianto rigermoglia già nell'altro. Penitenza è consumata nelle asperità del viaggio, devozione è collaudata sulla gratuità dell'atto, il coraggio visitato in ginocchio al colonnato. Povertà ritorna sempre, tre volte ogni giornata, tradita nella notte, dai fumi amplificati, prima che il gallo abbia cantato: l'imbarazzo dell'affronto lascia l'uomo liberato, peccato necessario, ammesso e perdonato.
Come lui non camminiamo, come lui non
respiriamo: è un animale esaltato dagli istinti, confonde il prima
con il dopo e prende il tutto per il niente, il quadro non distingue
da cornice, la causa riduce nell'effetto, e scambia con il
prossimo se stesso...
Ivan Fassio
Jean-Paul Charles, Gli Stranieri, 2013 |
Nessun commento:
Posta un commento