su "Senza Titolo", di Enzo Gagliardino
Ai
margini di ogni rappresentazione stabile – immagine o testo –, la
malinconia fievolmente intona un suo canto. Tutto è vuoto, ogni
sforzo è stato vano. Il mondo giace freddo: le sue strutture
smarrite si involano verso un cielo gonfio, appesantito.
Il presentimento della catastrofe di ogni progresso, da sempre, ha abitato questo angolo della mente, questa porzione estranea della coscienza. Da sempre, qui, ciò che avevamo auspicato non si è mai avverato. L'esistenza appare, di conseguenza, come un vuoto contenitore. La Storia s'impone come un cieco meccanismo, che continua a significare, incessantemente, crudelmente. I tasselli della cultura e della tradizione, un tempo condivisi, hanno eretto le mura di una conoscenza astratta, tenuta a difendere, almeno nelle apparenze, una città devastata nel suo interno.
Il presentimento della catastrofe di ogni progresso, da sempre, ha abitato questo angolo della mente, questa porzione estranea della coscienza. Da sempre, qui, ciò che avevamo auspicato non si è mai avverato. L'esistenza appare, di conseguenza, come un vuoto contenitore. La Storia s'impone come un cieco meccanismo, che continua a significare, incessantemente, crudelmente. I tasselli della cultura e della tradizione, un tempo condivisi, hanno eretto le mura di una conoscenza astratta, tenuta a difendere, almeno nelle apparenze, una città devastata nel suo interno.
Fare
luce sui confini della nostra percezione, sulle zone d’ombra del
nostro essere, è stato da sempre compito dell'Arte, in un gioco
spesso pericoloso, dissoluto: in uno scavo continuo che diventa
vizio, perché va ad assillare, intimamente, le categorie del nostro
pensare e del nostro sentire – la nostra abitudine.
Ivan
Fassio
Enzo Gagliardino, Senza Titolo |
Nessun commento:
Posta un commento