su
“Clandestini” di Riccarda Montenero
Nell'esperienza della contraddizione, il
tempo si fa macchia illogica, accumulo di informazioni. Allo stesso
modo, un dislocamento difficilmente tracciabile può rappresentare le
dinamiche di appropriazione e dispersione di una problematica e disordinata produzione
di significati.
Lo
spazio si compone teatralmente, ridotto a simulazione di un non-luogo
rivisitato: limite consunto, valvola di sfogo più che situazione
di stallo. L'esausto sfiato della parola incarnata giunge ai sensi di
un altrettanto spossato visitatore: il pubblico, con il suo fardello
di preclusioni o con il suo carico di speranze. Monconi, uncini e
tronchi di un corpo nomade preparano la zona di una futura
permanenza, di una sistemazione stanziale. Questo particolare
territorio occupa il tragitto di un'invasione barbarica. Dalla
spiaggia di attracco clandestino – infestata da inesorabili presagi
mortiferi – ai locali di stoccaggio, la traccia grammaticale delle
migrazioni si condensa in ieratiche figure scultoree, in effigi
sinuose e misteriose.
Allacciata
agli avvenimenti testimoniati dalla storia e dall'attualità, la
tragedia rilascia un alone universale, distaccato, che evapora,
fluttua e, finalmente, condensa. Questi risultati coincidono con gli
esiti archetipici del viaggio: gli ostacoli del percorso, la
preghiera, la sublimazione poetica, il passaggio denso del tempo,
l'enigma di un orizzonte sconosciuto, l'abbraccio sensuale della
conquista, la contaminazione e l'epidemia, le sbarre della
prigionia...
Ivan
Fassio
Riccarda Montenero, Clandestini, still from video |
Nessun commento:
Posta un commento