venerdì 27 settembre 2013

LO STRANIERO - Prospettive e Interpretazioni

Lo Straniero

A cura di Ivan Fassio e Marco Memeo

Fabrizio Bonci, Sarah Bowyer, Jean-Paul Charles, Roberta Corregia, Carlo D'Oria, Enzo Gagliardino, Giovanna “Giogia” Giachetti, Paolo “JINS©” Gillone, Carlo Gloria, Marco Memeo, Riccarda Montenero, Marco Seveso, Gosia Turzeniecka

Da Venerdì 27 a Domenica 29 Settembre 2013
Inaugurazione Venerdì 27 Settembre, ore 18:00
Spazio Vinci
Piazzetta Leonardo da Vinci, Asti

Nell'ambito di SLAFF “Social Lab Film Festival”, la mostra collettiva Lo Straniero indaga il rapporto delle arti figurative contemporanee – pittura, scultura, fotografia –, della video art e del documentario sociale con le tematiche dell'estraneità, della diversità e della migrazione. Ad Asti, dal 27 al 29 Settembre 2013...

Da un prospettiva processuale ed esperienziale, le arti non rappresentano più una giurisdizione esclusiva della bella apparenza, bensì una forma di accrescimento del sensibile, un dominio della sperimentazione percettiva. Ci interrogano e si interrogano. Ci insegnano a vedere, udire e sentire diversamente, tramite un linguaggio tanto innovativo quanto originario e autentico. Il loro discorso custodisce una grammatica che non deve soltanto essere studiata e interpretata, ma che vuole essere parlata, divulgata, trasmessa, professata. In questo senso, lo sfaccettato ambito di significazione di un'opera d'arte è un luogo aurorale, un insieme di azioni sempre in statu nascendi, nella continua interazione dell'opera con lo spettatore: il pubblico, l'altro. Proprio questa alterità garantisce la rinnovabile possibilità di costante crescita, ricerca, presa di coscienza.
Ogni fenomeno interpretabile si pone inesorabilmente sotto forma di esigenza che procede dall'incontro e dal confronto. L'azione costruttiva dell'estraneità, tuttavia, si mostra soltanto indirettamente, attraverso le domande. La conseguente risposta dell'arte non è né arbitraria, né obbligata – è inevitabile. Come se si trattasse di un'intrinseca categoria che ne assicura la validità, essa non può non presentarsi. L'alone di perenne produzione di senso si sviluppa a partire dal riscontro che essa dà oppure rifiuta, in un dialogo continuo con la diversità che le si avvicina. Estranea a se stessa, opaca e carica di inesauribili facoltà – in quanto massima espressione del dialogo e della condivisione –, ogni pratica estetica si trasforma e ci trasforma in apparati di reazione, in meccanismi di elaborazione, in ingranaggi decifranti. Ognuno di noi, straniero di fronte all'incommensurabilità delle interpretazioni, comprende al massimo grado la propria condizione di migrante, di pellegrino della conoscenza, di clandestino all'interno di un sistema che svela a poco a poco, sotterraneamente o progressivamente, le proprie dinamiche interne e potenzialità relazionali. Siamo noi gli stranieri che si aggirano, incuriositi, di fronte a un paesaggio mai visto, che soffiano su volumi impolverati tra gli scaffali di una biblioteca, che ricopiano il codice ereditato, che tramandano una storia mai uguale a se stessa...



Ivan Fassio

Carlo Gloria

Un Segno di Pace

a Lo Straniero

Nostro desiderio, inconsciamente, è sempre una realtà: bramiamo il mondo che non c'è, al di là della creazione di senso individuale e collettiva, del sapere personale e della storia. Motore delle apparenze, il verosimile ci porta al largo, attraverso un'elaborazione delle strutture tipiche e della nostra volontà. Ciò potrà convincerci irrevocabilmente che noi, davvero, non siamo. Mai stati da sempre, proprio come per un'illusione.
L'attendibilità, a cui tutti aneliamo, obbliga l'immaginazione ad attivarsi, a ritagliare l'effigie di ciò che resterà riconoscibile. Immaginare diventa la capacità di creare il nostro universo dal nulla: al di là fuma il niente, nello spettro delle evaporate essenze.
Verità è anonima e parziale, così sia: non sarà mai materia di un sapere posseduto. In una sorta di magazzino inconscio e impersonale sembrerebbero essere depositati i simboli grammaticali e sociali, privi di significazione, stoccati finché non riusciranno ad incarnarsi in una persona. Amen: venuto alla luce, il soggetto conferirà significato a questi frammenti atavici, affaccendandosi intorno a un'unità astratta. Per conferire carattere antropomorfico al mondo circostante, lavorerà sul proprio aspetto, come se uno specchio l'avesse plasmato da un'origine informe. Il nostro viso sarà la prima delle apparenze, modellante ed efficace: il modo per incontrarci in un mondo inesistente. Per scambiarci un segno di pace...
 Ivan Fassio

Jean-Paul Charles

giovedì 26 settembre 2013

Autunno Annunciato

Su "Danza d'Agosto", di Fabrizio Bonci

L’Estate Indiana
Era ancora lontana.
La covava – concepita
In tinte più fosche –
Un autunno annunciato,
Neppure iniziato.
Condiviso era il sogno
Di un giorno più caldo:
Ma con distacco vissuto,
Senza attesa di danze e banchetti.
Talvolta, per eccezione,
Con lo spirito d’un estraneo ingordo
Che siede al pranzo nuziale
Senza conoscerne i riti...

 Ivan Fassio

Fabrizio Bonci, Danza d'Agosto, still from video

L'Occhio e l'Orizzonte

su “Starlight Station” di Roberta Corregia

L'orizzonte potrebbe essere indagato come se fosse la carta di una pagina: un futuro da colmare, lo spazio di un'eco, un cielo da conquistare. Ciò che vediamo, purtroppo, è soltanto lo strato iniziale, nella sbiadita stabilità di un quadro. Occorre percorrere il cammino, per percepirne tutte le profondità: affrontare il viaggio e terminarlo.
L’occhio è, in contrapposizione, una nube in prospettiva, uno sciame di nostalgia: riflessi dell'ambiente circostante dispensano i personaggi in scena da ogni responsabilità. Se non fosse così, l'isolamento sarebbe tempesta, perché la parola è relazione. E tradirsi significherebbe soltanto apporre un'immagine isolata e inautentica tra se stessi e il mondo, indirizzare il proprio speciale messaggio a tutti o a nessuno...

Ivan Fassio

Roberta Corregia, Starlight Station

Della Fondazione del Mondo

su "Master Mind", di Paolo "Jins" Gillone

Gioco, rituale, mito: la creazione di significato ha una base ludica. L'andamento a ritroso spalanca le porte all'interpretazione. Quattro punti cardinali gettano i vettori e le linee di forza, le coordinate di colore per l'immaginazione di una mappa, l'individuazione di presenze e incontri, il riconoscimento delle strutture di relazione che fondano il mondo.
Il sacrificio rivela sempre il meccanismo sottostante ad ogni società, alla formazione di ogni operazione di potere. In un orizzonte apocalittico, le verità ultime saranno svelate attraverso la presa di coscienza di questi procedimenti. Il linguaggio evaporerà, lo spazio ed il tempo svaniranno, la pura contemplazione rimarrà: attonita, estraniata, ammutolita...

Ivan Fassio

JINS, Master Mind

L'Intercambiabilità delle Soluzioni

su "Interferenze", di Carlo D'Oria

La scultura può coincidere con la superficie, nel dominio dei sensi. Rincorrere una sinestesia, dallo schermo della nostra percezione, può portarci a ignorare la compiutezza della realizzazione e a coinvolgere agenti diversi, ad attivare funzioni di dialogo e condivisione addirittura in noi stessi. 
Un'illusione sostiene l'opera: la creazione di un miraggio collettivo che garantisce la visione. Nonostante tutto, il suo alone di significati continua indifferentemente ad agire. Inseguendo una meta di disvelamento, l'artista può sottolinearne le strutture – rendendole pesanti o alleggerendole - e amplificando la radice dell'apparenza. Il fascino della comunicazione emerge, allora, dall'intercambiabilità delle soluzioni. Il sistema si muove come una macchina, ma gli ingranaggi non sono funzionanti. La produzione di senso è attivata dall'esterno, a motore spento. Siamo noi ad avviarci per la strada della comprensione: la meccanica della rete è al nostro interno. 

Ivan Fassio

Carlo D'Oria, Interferenze

Per una Metonimia della Visione


su “Quasi Tutti”, di Carlo Gloria


Il nostro profilo è un risultato del compromesso tra spirito e vita. Paghiamo il conto, riconoscendoci, ad un'economia che ci piega: percepiamo, in questo modo, ciò che conviene, inconsapevolmente. Come per un nome, la figura si fa linguaggio – ci chiamiamo attraverso i lineamenti sgrossati, utilizzando le fattezze stilizzate. Ci somigliamo definitivamente, diventiamo noi stessi e coincidiamo con le sommarie parole che ci definiscono: le nostre generalità, appunto. Ci rincorriamo, eludendo il tremendo pericolo della scena impossibile, del gesto inconcludente, dell'irriconoscibilità dovuta ad un cambiamento radicale. 
Metonimia della visione è quest'azione di convincimento. Riconoscere l'uomo dai lineamenti del volto equivale, in termini retorici, a denominare una cosa con il nome di un'altra. Che la prima possa essere considerata in relazione di dipendenza o di continuità con la seconda è potere del simbolico: collo di bottiglia, bicchiere di vino, decisione del cuore...
Intrappolati nelle parole, spieghiamo il procedimento con un'ulteriore locuzione: prendere confidenza. Vanitas Vanitatum, sterminata forza del fallimento, emergente nella continua sostituzione linguistica del luogo originario, del momento immacolato! Per un'analogia dello spostamento, sostituiamo idee e immagini con altre associate ad esse, per renderle più affabili. Per inventarne l'abitudine futura, la nostra...

Ivan Fassio
Carlo Gloria, Quasi turri, 2010

Il Valore Aggiunto

su “Occidente, Oriente”, di Sarah Bowyer 

Interrogarsi sulla storia significa acquisire la consapevolezza dei continui mutamenti di significato dei segni, delle stratificazioni interpretative di metafore, simboli, miti. L'intervento del singolo è valore aggiunto e strumento conoscitivo all'interno di strutture archetipiche, riconosciute e condivise: sasso gettato nel lago dell'umanità.
Alla luce di questi limiti, come immagini di modernariato in movimento tra Oriente e Occidente, i nostri messaggi, dinamici o secolarizzati, perdono lentamente il loro valore odierno per riconquistarsi una sacralità. Del loro contenuto potrebbero restare, col passare del tempo, soltanto le tracce del verbo, il segno dell'urgenza e, infine, la testimonianza di una necessità.
Il nostro compito nel presente rimane, così, la rivelazione dell'inespresso: cercare risonanze dell'animo e, da queste, ricreare sensazioni. Affidare questi esercizi ad una libera arte di rappresentazione, che riesca a fondere astrattismo e figurazione, equivale a comporre una musica: escogitare fluide armonie laddove ristagnavano inestricate suggestioni o pesanti cumuli di parole.

 Ivan Fassio

Sarah Bowyer, Occidente Oriente

lunedì 23 settembre 2013

L'Impronta Liberata

su “Fabbrica” di Marco Memeo

La soluzione bagna la riva, lava la traccia di un percorso a ritroso. Ripartiti dai ricordi, abbiamo fallito nel tentativo di approdare alle sensazioni che li avevano generati... Ritroviamo, a malapena, il desiderio nostalgico di abitare il mondo e di abbandonare il divario che frequentiamo nei momenti della creazione. La nostra chiaroveggenza è tragedia, crollo insanabile che si infrange e ritira ad ondate, come una marea. Il nostro catalogo, incompiuto e imperfetto, è tentativo imbarazzante di forzare l'esistenza, di schiudere un mistero. 
Abbiamo creato ciò che già conoscevamo! Nonostante tutto, la nostra vita appare in nuova luce. Le parole, sebbene rare, si riuniscono confusamente e testimoniano un rinato approccio al loro senso – che non avremmo più ascoltato –, rinominano interi periodi del viaggio – che avremmo dimenticato di compiere –, creano una polifonia di incontri – che non avremmo mai immaginato –. Un florilegio di brani composti da diversi personaggi, dagli stranieri che convivono nella nostra coscienza: nessuna spiegazione per chi attraccherà a questi moli, soltanto dissolvenze per sprigionare il tempo di una possibile interpretazione. I simulacri restituiranno la città disabitata, la donna sola nella sua distanza, uno scorcio fissato da uno sguardo assente, qualche scaltro furto alle nostre sensazioni. Non nel marmo, non nel fuoco – nell'incedere frangente delle onde, il calco libererà un'impronta! 

Ivan Fassio


Marco Memeo, Fabbrica, acquerello su carta


L'Intuizione e la Copia

su "Noli", di Gosia Turzeniecka

L'approdo sarà arduo, tra correnti di flussi. Lavare una riva frequentata, incredibilmente, dai miraggi della città sarà dovere dell'onda, in uno sciabordio stillicida a cui ci saremo assuefatti. Tornando da un etereo viaggio nell'auscultazione del paesaggio urbano, potremo mai riscoprire, senza soluzione di continuità, la forza del fiato animale? 
Nel tragitto a ritroso dalla tecnologia all'autenticità dell'esistenza, assopirsi è inevitabile, poiché passare con un balzo dai compiti della società organizzata alla libertà della campagna richiede, necessariamente, un tratto di pausa, qualche punto di sospensione. L'intervallo può facilmente mischiare lo spazio e il tempo. Allo stesso modo, la distanza, tradotta in scansione di momenti, tende ad amalgamare percorso e durata. Affondato alle radici dell'albero del sogno, questo curioso impasto ne nutre le visioni. Sono le immagini dell'abbandono e dell'abbraccio ritrovato, le chiare premonizioni di un ritorno vissuto alla luce della natura, dove sopravvivenza e pericolo si mescolano nella piena percezione del giorno e della notte. 
Ora, la meta ci è curiosamente estranea. Candidamente, l'uscita da noi stessi è l'unica missione: il favore da corrispondere a un'umanità lontana e umile, in bilico tra presenza vitale e oblio dello sviluppo. Comunità inconsistente, difficilmente assimilabile, idea affascinante e grezza, ma fonte d'ispirazione e forte come un archetipo. Totem per adorare, ex voto per rendere grazie, muro per chiedere perdono: saranno gli strumenti da utilizzare per le nostre nuove strutture, per inedite costruzioni. Arriveremo quando avremo finalmente riletto questo testo, quando la copia della prima intuizione sarà definitivamente realizzata.

 Ivan Fassio

Gosia Turzeniecka, Noli, acquerello su carta, 2012


Malinconia e Catastrofe

su "Senza Titolo", di Enzo Gagliardino

Ai margini di ogni rappresentazione stabile – immagine o testo –, la malinconia fievolmente intona un suo canto. Tutto è vuoto, ogni sforzo è stato vano. Il mondo giace freddo: le sue strutture smarrite si involano verso un cielo gonfio, appesantito.
Il presentimento della catastrofe di ogni progresso, da sempre, ha abitato questo angolo della mente, questa porzione estranea della coscienza. Da sempre, qui, ciò che avevamo auspicato non si è mai avverato. L'esistenza appare, di conseguenza, come un vuoto contenitore. La Storia s'impone come un cieco meccanismo, che continua a significare, incessantemente, crudelmente. I tasselli della cultura e della tradizione, un tempo condivisi, hanno eretto le mura di una conoscenza astratta, tenuta a difendere, almeno nelle apparenze, una città devastata nel suo interno.
Fare luce sui confini della nostra percezione, sulle zone d’ombra del nostro essere, è stato da sempre compito dell'Arte, in un gioco spesso pericoloso, dissoluto: in uno scavo continuo che diventa vizio, perché va ad assillare, intimamente, le categorie del nostro pensare e del nostro sentire – la nostra abitudine.


Ivan Fassio


Enzo Gagliardino, Senza Titolo

domenica 22 settembre 2013

Tensioni Vettoriali e Tracce Esistenziali

su "La Mattanza", di Riccarda Montenero

Il territorio non equivale esclusivamente ai concetti di ambiente, paesaggio, costruzione, ma mantiene fortemente una valenza vettoriale: garantisce una condizione di entrata e uscita incessante, una perenne funzione di incanalamento, l'inevitabile tensione migratoria della comunicazione, dello scambio, della conoscenza.
Le coordinate di localizzazione sono semplicemente deducibili dai segni di demarcazione prodotti dalle creature. Per gli animali, le indicazioni imprescindibili e i confini biologici risultano molto precisi e circoscritti. Gli uomini, operando una grande quantità di segni, tratteggiano lo spazio, senza definire limiti statici: viaggi, assedi, insediamenti, guerre. Agiscono creativamente, consumano poeticamente, si spostano seguendo simbologie, linguaggi e affetti.
L'artista, declinando il proprio operato secondo infinite possibilità, incide l'universo con i colori e le forme, con le parole e le immagini: tali segnalazioni costituiscono un flusso che va dall'autore al mondo, e viceversa. In questo caso, l'esistenza si esprime nell'invenzione di segni, i quali, riproducendo i meccanismi della vita, marcano esplicitamente la geografia terrestre, ripiegandosi sensibilmente sulla loro stessa finalità: mise en abyme, circolo vizioso, mimetismo tautologico. Gli artisti sarebbero, in questo senso, equiparabili a bestie sovrumane, pachidermi in continuo spostamento, stormi capaci di portare, lasciare o depositare un messaggio compiuto in modo inequivocabile e manifesto...

Ivan Fassio

Riccarda Montenero, Le Refuge, da "Libre Circulation"

Gli Esiti del Viaggio


su “Clandestini” di Riccarda Montenero

Nell'esperienza della contraddizione, il tempo si fa macchia illogica, accumulo di informazioni. Allo stesso modo, un dislocamento difficilmente tracciabile può rappresentare le dinamiche di appropriazione e dispersione di una problematica e disordinata produzione di significati.
Lo spazio si compone teatralmente, ridotto a simulazione di un non-luogo rivisitato: limite consunto, valvola di sfogo più che situazione di stallo. L'esausto sfiato della parola incarnata giunge ai sensi di un altrettanto spossato visitatore: il pubblico, con il suo fardello di preclusioni o con il suo carico di speranze. Monconi, uncini e tronchi di un corpo nomade preparano la zona di una futura permanenza, di una sistemazione stanziale. Questo particolare territorio occupa il tragitto di un'invasione barbarica. Dalla spiaggia di attracco clandestino – infestata da inesorabili presagi mortiferi – ai locali di stoccaggio, la traccia grammaticale delle migrazioni si condensa in ieratiche figure scultoree, in effigi sinuose e misteriose.
Allacciata agli avvenimenti testimoniati dalla storia e dall'attualità, la tragedia rilascia un alone universale, distaccato, che evapora, fluttua e, finalmente, condensa. Questi risultati coincidono con gli esiti archetipici del viaggio: gli ostacoli del percorso, la preghiera, la sublimazione poetica, il passaggio denso del tempo, l'enigma di un orizzonte sconosciuto, l'abbraccio sensuale della conquista, la contaminazione e l'epidemia, le sbarre della prigionia...

Ivan Fassio


Riccarda Montenero, Clandestini, still from video

sabato 21 settembre 2013

La Dipartita delle Parti

su "Gli Stranieri", di Jean-Paul Charles

Un passo al di fuori sta il pittore, affacciato all'intuizione, con il raggio d'azione delle mani stretto saldamente dalla vista. Ma l'artista scavalca ogni confine e lascia tracce, depone come uccello il suo carico futuro: fardello di monaco in passaggio, straniero spaesato di fronte al santuario, stazione sperduta del pellegrinaggio.
Le reliquie sono sue: le sue parti dipartite. La sepoltura è ormai conclusa: defunto ed interrato, il suo pianto rigermoglia già nell'altro. Penitenza è consumata nelle asperità del viaggio, devozione è collaudata sulla gratuità dell'atto, il coraggio visitato in ginocchio al colonnato. Povertà ritorna sempre, tre volte ogni giornata, tradita nella notte, dai fumi amplificati, prima che il gallo abbia cantato: l'imbarazzo dell'affronto lascia l'uomo liberato, peccato necessario, ammesso e perdonato.
Come lui non camminiamo, come lui non respiriamo: è un animale esaltato dagli istinti, confonde il prima con il dopo e prende il tutto per il niente, il quadro non distingue da cornice, la causa riduce nell'effetto, e scambia con il prossimo se stesso...


Ivan Fassio

Jean-Paul Charles, Gli Stranieri, 2013


Divenire Alterità

su La Sirena, di Marco Seveso

Contemplare il mio aspetto, dall'alto dei miei occhi, e farmi specchio di me stesso, chinando il capo verso terra, scendendo fino ai piedi. Prendere coscienza di non possedermi mai, ma di riformularmi autenticamente: un tutt'uno fisico, simbolico e mentale. Abolire ogni speculazione ed affidarmi ai sensi e al flusso dei pensieri, presentandomi alle moltitudini che dimorano in me, salutando soddisfatto le infinite e continue possibilità di cambiamento, vedendomi divenire alterità: mutante meccanismo di significazione.
Per entrare in questo circolo vizioso, soltanto un sogno poteva estraniarmi così tanto. Sconosciuto a me stesso, nel sonno, germogliavo bulbi dalla cornea, viravo imbarcazioni sulla bile, applicavo una sirena assordante sul mio tatto. Appendendo tre gocce di rugiada alle mie orecchie, stappando la materia cerebrale dall'imboccatura del torace, obbligandomi a nuotare in una vasca troppo stretta, mi immergevo nel mio corpo e, come un pesce fuor dall'acqua, dilatavo incredulo le branchie, nell'affannosa ricerca del mio sangue...


Ivan Fassio

Marco Seveso, La Sirena, olio su tela, 2003

venerdì 20 settembre 2013

Gettando la Maschera, Nasciamo

su Gaia, di Giovanna Giachetti

Non è soltanto la nostra maschera, quella che noi vediamo, quando ci guardiamo allo specchio o ci incontriamo. Perché, se levato, il trucco non ci assomiglia più? Perché, se potessimo abbandonarlo, il travestimento perderebbe, paradossalmente, proprio le nostre sembianze, come se stesse rimpiangendo un'anima?
Ne abbiamo solo una flebile intuizione, ma ne siamo certi: senza un'essenza, la nostra apparenza si trasforma in un frivolo orpello, in escrescenza carnosa inapplicabile, in un'orma odorosa e, infine, in una traccia abbandonata. Diventa simulacro, abbozzo che riformula un linguaggio. Da qui, un'inedita sostanza si concretizza, si crea allo stesso modo in cui si produce un'opera d'arte – inutile eppure espressiva, opaca eppure rivelante: siamo noi questa nuova materia, quest'impasto contrastante di visione e memoria...

Ivan Fassio


Giovanna "Giogia" Giachetti, Gaia, 2012