su “Quasi Tutti”,
di Carlo Gloria
Il nostro profilo è un risultato del compromesso tra spirito e
vita. Paghiamo il conto, riconoscendoci, ad un'economia che ci piega:
percepiamo, in questo modo, ciò che conviene, inconsapevolmente.
Come per un nome, la figura si fa linguaggio – ci chiamiamo
attraverso i lineamenti sgrossati, utilizzando le fattezze
stilizzate. Ci somigliamo definitivamente, diventiamo noi stessi e
coincidiamo con le sommarie parole che ci definiscono: le nostre
generalità, appunto. Ci rincorriamo, eludendo il tremendo pericolo
della scena impossibile, del gesto inconcludente,
dell'irriconoscibilità dovuta ad un cambiamento radicale.
Metonimia
della visione è quest'azione di convincimento. Riconoscere l'uomo
dai lineamenti del volto equivale, in termini retorici, a denominare
una cosa con il nome di un'altra. Che la prima possa essere
considerata in relazione di dipendenza o di continuità con la
seconda è potere del simbolico: collo di bottiglia, bicchiere di
vino, decisione del cuore...
Intrappolati nelle parole, spieghiamo il
procedimento con un'ulteriore locuzione: prendere confidenza. Vanitas
Vanitatum,
sterminata forza del fallimento, emergente nella continua
sostituzione linguistica del luogo originario, del momento
immacolato! Per un'analogia dello spostamento, sostituiamo idee e
immagini con altre associate ad esse, per renderle più affabili.
Per inventarne l'abitudine futura, la nostra...
Ivan Fassio
Carlo Gloria, Quasi turri, 2010 |
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