H. U. Obrist, portrait by Virginia Zanetti |
Un patchwork di frammenti
ripropone la rete di relazioni all’interno del sistema espositivo
del secolo scorso. Per esaminare e, infine, decostruire l’inesplorato
campo d’azione del curatore artistico
Hans Ulrich Obrist insiste, a
partire degli anni Novanta, su un concetto curatoriale polifonico.
Ogni sua produzione si trasforma, spontaneamente, in luogo
d’incontro, campo di interazione dialettica, mise en abyme
di processi cognitivi e percettivi. L’approccio teorico è pretesto
per riflettere su visioni periferiche, casualità e contingenza,
implicazioni spettacolari. Sempre caratterizzata come fortemente
ancorata al presente, ogni proposta espositiva viene concepita
nell’esigenza di rispondere ad un’urgenza o a una necessità . Il
curatore rinuncia al proprio individualismo e, con un atto di
abbandono nei confronti di sistemi collaudati, procede a fianco
dell’arte assumendo un ruolo di catalizzatore. Costruttore di
legami con il pubblico e di nuovi orizzonti di significato, Obrist
cerca di evitare scenari pre-esistenti e di costruire una mostra
collettiva a partire da automatismi e coincidenze. In questo senso,
sulla scia dei predecessori Suzanne Pagé e Kasper König,
riesce ad incarnare una versione di basso profilo del ruolo del
curatore e, al tempo stesso, ad assumere radicalmente le intenzioni
di ogni artista presentato.
L’idea di destrutturare i
tradizionali impianti della curatela, che trova legami con le
tendenze artistiche e letterarie contemporanee, ha informato i suoi
interventi critici nell’attuale dibattito sul ruolo del critico
d’arte. La sua disposizione postmoderna intravede l’ideale
spiraglio per una rinascita, proprio nell’impossibilità di
riproposizione delle strutture classiche e nella successiva
riorganizzazione ludica di modelli obsoleti. La sua Biennale di
Lione, curata nel settembre del 2007 insieme a Stéphanie Moisdon,
si poneva già come un gioco meta-letterario: la storia di un
decennio, non ancora definito, in cui l’intero evento veniva
ridotto ad una serie di manuali di istruzioni. L’intervento di
Obrist alla Biennale di Venezia del 2003, allo stesso modo, è stato
estremamente eterogeneo: una forzatura di ogni possibilità per
esaurire, letteralmente, il campo delle sperimentazioni.
Il lavoro di Obrist, proprio in virtù
della particolare indagine sul linguaggio, si nutre delle esperienze
curatoriali che, a partire dall’inizio del secolo scorso, hanno
definito la mostra come dispositivo strutturale e, soprattutto, come
momento privilegiato per l’attribuzione di significato ad opere e
movimenti artistici. Il volume Breve Storia della Curatela,
pubblicato nel settembre 2011 dalla casa editrice milanese Postmedia
Books, presenta undici interviste, raccolte da Obrist nel corso degli
anni, a importanti curatori del Novecento. Non si tratta, infatti, di
un’analisi dei suoi diretti precursori, ma di uno sguardo sulla
generazione ancora precedente.
Le domande poste dall’autore denotano
la volontà di ritrovare le radici delle proprie intenzioni, seguendo
il filo di suggestioni e affinità. La ricerca si focalizza sugli
esperimenti di figure indipendenti degli anni Sessanta e Settanta,
che hanno proposto innovazioni nelle istituzioni museali europee e
americane. Il risultato è un discorso a più voci, ricco di aneddoti
e di osservazioni sui nodi cruciali di avanguardie e sperimentazioni.
Di Pontus Hultén, direttore del
Moderna Museet di Stoccolma, vengono presi in esame i tentativi di
coinvolgimento del pubblico all’interno della struttura museale.
Mostre come Poetry Must Be Made By All! e Transform the
World hanno segnato il dibattito tra valore dell’istituzione e
necessità di ricerca interdisciplinare. Le domande poste da Obrist a
Jean Leering, direttore del Van Abbenmuseum ad Eindhoven fino
al 1973, prendono in considerazione i rapporti tra architettura e
utopia, soffermandosi sull’organizzazione del percorso museale City
Plan. L’evento proponeva l’esposizione di un progetto
urbanistico ideale per la città di Eindhoven, realizzato da Jacob
Bakema e Johannes Van den Broek.
Harald Szeemann, direttore della
Kunsthalle di Berna dal 1969, ha riunito, in When Attitudes Become
Form: Live in Your Head, artisti post-minimalisti e
concettuali, inserendoli per la prima volta in un contesto
istituzionale. La sua edizione di Documenta del 1973, presa in
considerazione nel libro, è stata un evento seminale della durata di
cento giorni, che ha riunito artisti come Richard Serra, Paul
Theck, Bruce Nauman e Rebecca Horn.
La conversazione con Seth Siegelaub,
mercante d’arte, editore e curatore indipendente, indugia sul
concetto di arte come continua critica ai clichés. Individua,
nella figura curatoriale, il ruolo di un attore che, nonostante
reciti la parte del motivatore distaccato e del generatore di idee,
resta il tramite privilegiato per convogliare verso la società
l’assoluto significato demistificatorio dell’arte.
Ivan Fassio
Breve storia della curatela
Hans Ulrich Obrist
postmedia books 2011
21,00 euro
224 pp. -- 12 illustrazioni di
Virginia Zanetti
isbn 9788874900626
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