domenica 10 giugno 2012

Il mosaico scomposto. Riflessione polifonica sul canone curatoriale


H. U. Obrist, portrait by Virginia Zanetti

Un patchwork di frammenti ripropone la rete di relazioni all’interno del sistema espositivo del secolo scorso. Per esaminare e, infine, decostruire l’inesplorato campo d’azione del curatore artistico

Hans Ulrich Obrist insiste, a partire degli anni Novanta, su un concetto curatoriale polifonico. Ogni sua produzione si trasforma, spontaneamente, in luogo d’incontro, campo di interazione dialettica, mise en abyme di processi cognitivi e percettivi. L’approccio teorico è pretesto per riflettere su visioni periferiche, casualità e contingenza, implicazioni spettacolari. Sempre caratterizzata come fortemente ancorata al presente, ogni proposta espositiva viene concepita nell’esigenza di rispondere ad un’urgenza o a una necessità . Il curatore rinuncia al proprio individualismo e, con un atto di abbandono nei confronti di sistemi collaudati, procede a fianco dell’arte assumendo un ruolo di catalizzatore. Costruttore di legami con il pubblico e di nuovi orizzonti di significato, Obrist cerca di evitare scenari pre-esistenti e di costruire una mostra collettiva a partire da automatismi e coincidenze. In questo senso, sulla scia dei predecessori Suzanne Pagé e Kasper König, riesce ad incarnare una versione di basso profilo del ruolo del curatore e, al tempo stesso, ad assumere radicalmente le intenzioni di ogni artista presentato.
L’idea di destrutturare i tradizionali impianti della curatela, che trova legami con le tendenze artistiche e letterarie contemporanee, ha informato i suoi interventi critici nell’attuale dibattito sul ruolo del critico d’arte. La sua disposizione postmoderna intravede l’ideale spiraglio per una rinascita, proprio nell’impossibilità di riproposizione delle strutture classiche e nella successiva riorganizzazione ludica di modelli obsoleti. La sua Biennale di Lione, curata nel settembre del 2007 insieme a Stéphanie Moisdon, si poneva già come un gioco meta-letterario: la storia di un decennio, non ancora definito, in cui l’intero evento veniva ridotto ad una serie di manuali di istruzioni. L’intervento di Obrist alla Biennale di Venezia del 2003, allo stesso modo, è stato estremamente eterogeneo: una forzatura di ogni possibilità per esaurire, letteralmente, il campo delle sperimentazioni.
Il lavoro di Obrist, proprio in virtù della particolare indagine sul linguaggio, si nutre delle esperienze curatoriali che, a partire dall’inizio del secolo scorso, hanno definito la mostra come dispositivo strutturale e, soprattutto, come momento privilegiato per l’attribuzione di significato ad opere e movimenti artistici. Il volume Breve Storia della Curatela, pubblicato nel settembre 2011 dalla casa editrice milanese Postmedia Books, presenta undici interviste, raccolte da Obrist nel corso degli anni, a importanti curatori del Novecento. Non si tratta, infatti, di un’analisi dei suoi diretti precursori, ma di uno sguardo sulla generazione ancora precedente.
Le domande poste dall’autore denotano la volontà di ritrovare le radici delle proprie intenzioni, seguendo il filo di suggestioni e affinità. La ricerca si focalizza sugli esperimenti di figure indipendenti degli anni Sessanta e Settanta, che hanno proposto innovazioni nelle istituzioni museali europee e americane. Il risultato è un discorso a più voci, ricco di aneddoti e di osservazioni sui nodi cruciali di avanguardie e sperimentazioni.
Di Pontus Hultén, direttore del Moderna Museet di Stoccolma, vengono presi in esame i tentativi di coinvolgimento del pubblico all’interno della struttura museale. Mostre come Poetry Must Be Made By All! e Transform the World hanno segnato il dibattito tra valore dell’istituzione e necessità di ricerca interdisciplinare. Le domande poste da Obrist a Jean Leering, direttore del Van Abbenmuseum ad Eindhoven fino al 1973, prendono in considerazione i rapporti tra architettura e utopia, soffermandosi sull’organizzazione del percorso museale City Plan. L’evento proponeva l’esposizione di un progetto urbanistico ideale per la città di Eindhoven, realizzato da Jacob Bakema e Johannes Van den Broek.
Harald Szeemann, direttore della Kunsthalle di Berna dal 1969, ha riunito, in When Attitudes Become Form: Live in Your Head, artisti post-minimalisti e concettuali, inserendoli per la prima volta in un contesto istituzionale. La sua edizione di Documenta del 1973, presa in considerazione nel libro, è stata un evento seminale della durata di cento giorni, che ha riunito artisti come Richard Serra, Paul Theck, Bruce Nauman e Rebecca Horn.
La conversazione con Seth Siegelaub, mercante d’arte, editore e curatore indipendente, indugia sul concetto di arte come continua critica ai clichés. Individua, nella figura curatoriale, il ruolo di un attore che, nonostante reciti la parte del motivatore distaccato e del generatore di idee, resta il tramite privilegiato per convogliare verso la società l’assoluto significato demistificatorio dell’arte.

Ivan Fassio

Breve storia della curatela
Hans Ulrich Obrist
postmedia books 2011
21,00 euro
224 pp. -- 12 illustrazioni di Virginia Zanetti
isbn 9788874900626

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