domenica 29 dicembre 2013

Deo non dante, nil valet labor


Chi lavora è nato per perdere

È nato per spendere

È nato per dare.

L’hanno detto i profeti non nati,

Generati dalla ruota del fato

In dote promessi dalla natura

Dalla fortuna plasmati, rinnegati

Nel vizio della scommessa:

Delinquenti artisti sacerdoti:

Tutta gente a cui dare credito,

Giocatori pieni di debiti!



Ivan Fassio



Jean Paul Charles, Scacchiera, finto marmo con calce



venerdì 20 dicembre 2013

A Space for Modernism. Chronicles of an American Journey


Two striking documents retrace the artistic and professional fellowship between Lucio Fontana and Ezio Gribaudo. In the background, the metallic city of New York is the inspiration for new spatial concepts…

L. Fontana, Concetto spaziale 1962-63, buchi su carta assorbente bianca


In 1961, Lucio Fontana was fascinated by the atmosphere of New York. He was there for an exhibition that contributed to make him famous all over the world. New York was a sort of Eliotian Unreal City, a tremendous and mysterious place, in which an artist could project his imagination and increase his stylistic choices. In this year, his new series of metal works was dedicated to New York. Big brass plates, hit by scratches, cuttings, holes, in their uprightness, symbolized majestic skyscrapers and the hectic pulsating of contemporary life. A turning point for Fontana: a year before, he had paid tribute to the city of Venice with a series of poetically inspired canvas. During this fruitful path for a language conquest – that will mark the aesthetical developments of the Nineteenth century – two important personalities were accompanying him: Ezio Gribaudo, artist and editor, whose works of art can be seen as a silent counterpoint to Fontana's concepts; and Enrico Crispolti, young critic, strongly supporting the innovative values of spatialism.
Fifty years after these basic encounters for contemporary art history, the Italian editor Skira has published two precious documents: Ezio Gribaudo e Lucio Fontana. Cronaca di un viaggio americano curated by Stefano Cecchetto, with a preface by Enrico Crispolti, and a dvd, Viaggio a New York by Ezio Gribaudo and Francesco Aschieri. Now, this book and this video are presented at the Italian Cultural Institute of New York!
The book recalls, through epistolar exchanges of that period, the professional relationship and, at the same time, the friendship between Fontana and Gribaudo. Beyond the international success of the artist, the essay by Cecchetto recalls the pivotal phases of his progress: from the discovery of the critical method by Michel Tapié to the professional relationship with gallerist Iris Clert, and to the encounter with London art dealer Robert Tunnard. The movie Viaggio a New York represents an artistic comment to that American journey. The essay Devenir de Fontana by Tapié, curated by Gribaudo for publisher Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo, and the exhibition of Fontana's concepts in Martha Jackson Gallery were released in November 1961. After fifty years, Gribaudo has shown his video. Experimental music band Supershock (Paolo Cipriano and Valentina Mitola) has composed an original soundtrack for this document. Guitar, flute, keyboards and a rhythm section highlight, mimetically, the troubled and exuberant camera movement and the brief moments of pause and calm in the metropolitan noise.
More than a precious testimony of Lucio Fontana artistic experience, this movie represents the attempt to transpose a series of topics from the avant-garde. Just like a lot of cinematographic experiments of that period, the framings show a sort of figurative streaming of consciousness. The author was fascinated by the movement output. Fades, lights and shades, sudden changes of point of view become expressionist methods to impress on the film the metropolitan clamour, the fluidity and shine of glass walls and advertising billboards, the majesty of ships, planes and skyscrapers. Rhythm and speed are the two interpretation elements. Moments of astonished contemplation on city structures are compared to restless and obsessive looks on isolated images, out of focus details, unusual contrasts. The persistent hesitation on light buildings defines an operation of metaphysical digging up, in order to look for the crack, the impression that can reveal a trace of truth. The very aesthetic revolution of Lucio Fontana is reflected in the revelation signs that the director can find in the tendencies of contemporary world.

Ivan Fassio

Lucio Fontana nel suo studio 1965 ca.
Ezio Gribaudo, Statua della Libertà

mercoledì 11 dicembre 2013

In Somniis Video

di Ivan Fassio

Una variazione subentrò nello spirito del sogno – scrisse il poeta – e definì una sfumatura per il dolore, un'ombra stabile per la lotta interiore e l'inquieto abbassarsi dello sguardo di fronte all'incisa lapide degli indicibili pensieri... Ignorandoli, il soggetto vide le scene sostituite: il buio, il pavimento, la luce accecante, la chiusura delle palpebre. Osservò il niente e gli diede un nome: altro. Vergogna!
Da allora, l'individualità si confuse e ripiegò, si chiuse e fortificò. Interruppe l'azione di ogni terza persona. Permise ad ogni sensazione di appartenerle interamente. Fuori di sé, riuscì a possedere tutto. Disse mio, mi descrisse, pronunciò io. E parlò: “Vedo nel sonno l'incedere dell'animo: sulle punte, di corsa, rotolante, ingombrante, sbilanciato, fremente, compunto, imponente, accasciato, ritto, volante, addossato a me! Tutto ciò che è detto, toccato, provato, sentito, udito: è visto. Nel linguaggio fissante del passivo: è veduto dalla vista nell'oscuro della carne, riassorbito da occhi chiusi, arso parte a parte e incenerito, fossilizzato dentro ai sensi: concavo e convesso. Per questo, riverbera nei secoli: araldo dell'eterno!”


I. F.

ph. by Jean-Paul Charles

venerdì 6 dicembre 2013

Storia e Sintassi di un Linguaggio Ecumenico


Memoria minuitur nisi eam exerceas
(Cicerone, De Senectute)

Sallustio inizia il suo De Catilinae Coniuratione con la descrizione di Catilina, aristocratico corrotto. La sua figura è contestualizzata sullo sfondo della decadenza dei costumi romani, dovuta all'accrescersi dell'ambitio, volontà di potere, e dell'avaritia, desiderio sfrenato di ricchezza. Definendo come archaeologia il proprio metodo di indagine del passato come giustificazione del presente, lo storico propone un dettato personale, composto attraverso una narrazione tutt'altro che lineare. L'autore inserisce, in questo senso, una digressione storica per motivare le cause della decadenza: illustra il passaggio dalla felice condizione delle origini di Roma alla dissoluzione dei tempi contemporanei. Insiste su una serie di considerazioni ideologiche: l'uomo, costituito da anima e corpo, deve coltivare le proprie qualità spirituali per ottenere una gloria vera ed eterna.
Cicerone, nella quarta orazione Catilinaria, era, allo stesso modo, cosciente di aver intrapreso contro dei cittadini corrotti un conflitto che non avrebbe avuto fine. L'aiuto di tutti gli onesti, tuttavia, e il ricordo di pericoli così gravi l'avrebbero difeso dalla furia della battaglia.
Sia lo storiografo sia l'oratore ricorrono al passato e alla memoria per difendere retoricamente particolari convinzioni, per dimostrare la legittimità e l'efficacia di un'azione da compiere. Ripresi nel Medioevo per i contenuti etici e in età umanistica per il pessimismo moralistico, entrambi insistono sull'indispensabile ricorso a processi mnemonici all'interno dei meccanismi della conoscenza.
Ezio Gribaudo allestisce la rappresentazione di un passaggio di tempo millenario in un'esposizione frammentaria, un'emersione di coincidenze, un affiorare di connessioni tematiche. La facoltà di ricordare è la struttura sulla quale si regge l'orizzonte di ogni legame plausibile. Casualità e razionalità coincidono, perché in uno scavo archeologico ogni ritrovamento è possibile. Sulla scena di questo teatro edificante, ideato attraverso l'istinto di ricerca del bibliofilo e l'intuizione dell'iconografo, la retorica e la memoria si intrecciano. Storia e linguaggio si avvolgono in un tessuto ecumenico. Protetta da un mantello universale, l'opera si carica di un messaggio tanto secolare quanto mistico. L'idea originaria scintilla nelle stratificazioni enigmatiche di un idioma che si tramanda.
Colonne stampate, carte sparse, didascalie e titoli si sovrappongono a tuniche, a maniche, a copricapi. La parola è l'abito. Dell'uomo rimane soltanto l'atto retorico, la prossemica, la fede incondizionata nella comunicazione. Le mani si fanno avanti, in una lettura che non mostra più gli occhi, ma soltanto il proprio oggetto.
Sullo sfondo, i messaggeri di una conquista emanano i loro editti, diffondono una legge, riconoscono congiure e tradimenti, condannano decadenza dei costumi e degrado sociale. Il progresso che propongono è senza volto, assoluto, adattabile e intercambiabile. Il loro incedere rappresenta la gloriosa incommensurabilità delle idee di infinito ed eternità, la fortuna della scrittura e la conseguente inevitabilità di una narrazione parziale e incompiuta, tanto incompleta quanto umana.

Ivan Fassio

Ezio Gribaudo, De Coniuratione Catilinae, tecnica mista, 2012





mercoledì 4 dicembre 2013

La Danza delle Lavandaie


per la Mostra “Spiegare Pieghe...” di Laura Ambrosi

Nell'ambito dell'intervento di riqualificazione dell'ex Stireria della Certosa Reale di Collegno progettato dall'architetto Antonio Besso Marcheis, la mostra personale “Spiegare Pieghe / Stendere Tende” di Laura Ambrosi si presenta con marcate e autentiche caratteristiche site-specific. Concepita come un'esperienza antologica, che possa gettare una nuova luce sull'intera produzione dell'artista, l'esposizione si è trovata immediatamente in dialogo spontaneo con l'ambiente circostante. La Stireria è adiacente al complesso architettonico in cui è stato realizzato il restauro dell'edificio della “Lavanderia a Vapore”, con il successivo allestimento del Centro Coreografico Internazionale, oggi sede del Balletto Teatro Torino. L'operazione rappresenta emblematicamente il punto di incontro tra una strategia basata sull'aderenza all'originario stile di matrice eclettica e l'inserimento in chiave contemporanea di nuovi impianti tecnologici, secondo un principio di reversibilità e flessibilità equilibrate.

La Certosa Reale di Collegno nasce come monastero, commissionato nel 1641 da Cristina di Francia, reggente di Savoia, sul modello della Grande Chartreuse di Grenoble. Nel corso dell'Ottocento, la costruzione di vasti padiglioni disposti a pettine ha progressivamente trasformato la Certosa in una delle più grandi strutture psichiatriche d'Italia. Un luogo così denso di stratificazioni e sedimentazioni accoglie agevolmente gli intrecci di tradizione e contemporaneità ideati da Laura Ambrosi. Insistendo su installazioni luminose in metacrilato e neon, la pratica estetica dell'artista contamina con intuitiva leggerezza tecniche e linguaggi: figurazione, decorazione, design, scultura e fotografia. Nella parola poetica – sempre presente in nuce –, nel pretesto verbale comunicativo e nell'introspezione indagata o suggerita vivono le controparti concettuali del costante lavorìo di intarsio e dell'intelligente reperimento di objets trouvés e ready made.
Consistenze contraddittorie, in bilico tra concretezza dei materiali e straniante levità percettiva, si arricchiscono di ricami e rivelano, in controluce, intensi spaccati di vissuto: il momento della creazione e la consuetudine di gesti arcaici o intimi.
L'oblio liberatorio, derivante dalla perpetrata ripetizione di atti assunti e assimilati, emerge come simbolo di una riflessione assoluta. La forza della meditazione è conquistata nella corporeità della passione sincera e distaccata per l'ideazione e la riproduzione del segno, per il recupero della memoria, per la formulazione di una testimonianza...
In un'ambientazione un tempo segnata da sofferenze e duro lavoro, il gioco si insinua come soluzione purificante. Un'asse da stiro, vettore e via di fuga, ci indica il cammino: un grembiule dismesso ci ricorda il suo destino. Il dondolio lento di un'altalena ci trasporta nel luogo in cui i sensi combaciano: accensione della pronuncia, ascolto della prospettiva, origine del canto, visione del contatto! I tessuti simulati, i pizzi e i merletti, i gomitoli al calor bianco, svuotati da ogni referente utilitaristico, inscenano, tramite sinuose luminescenze neon, un teatro silenzioso e sospeso, una flessione danzante cristallizzata, un polveroso e magico archivio di messaggi ancora taciuti o non recapitati.
Movimento e staticità: biblioteca sterminata, capace di contenere azione scenica e verbalizzazione, fermo immagine e immediatezza di condivisione, scatto e rielaborazione, scrittura e descrizione! Al di là delle apparenze – conquistate e dissimulate, sottomesse e rinnegate –, il linguaggio continua a significare. Le parole, sotto un'incantata coltre escogitata dall'umano, iniziano a sognare...

Ivan Fassio

Laura Ambrosi

venerdì 29 novembre 2013

Allusione, Gioco e Rinascita: per una Lettura dei Simboli del Concilio

Uno dei testi presenti nel catalogo Skira per la mostra Ezio Gribaudo e il Concilio Vaticano II. Tra l’Imperatore Santo e Papa Wojtyla curata da Paola Gribaudo e Ioannis Kantzas a San Mauro Torinese. Tra gli autori, Cesare Zavattini, don Andrea Pacini, Albino Galvano, Luigi Carluccio, Martina Corgnati, Andreina Griseri, il Cardinale Francesco Coccopalmerio...

Ezio Gribaudo, Atenagora e Paolo V
Può l'allusione, nella propria accezione etimologica di gioco di rimandi, ergersi a modalità artistica totalizzante, a soluzione uniformante per ogni pratica estetica? Applicando questo metodo, le immagini e le situazioni create rappresenterebbero i neutri e immacolati risultati di una speciale ricerca metafisica. Questo tentativo si imporrebbe nell'ambito di svariate categorie: onirismo e gestualità, simbolismo e figurazione, astrazione e misticismo.
Portando la sperimentazione alle estreme conseguenze, gli esiti potrebbero riappropriarsi problematicamente della sfumatura critica presente nel significato del verbo 'alludere'. Non solo acuto riferimento o citazione indiretta, sottile riecheggiamento di un contenuto o di una forma, ma, più dinamicamente, messa in discussione, richiamo dialettico all'essenza di ogni argomento. L'esperienza artistica si porrebbe, in questo modo, come domanda tautologicamente infinita, eterna mise en abyme, atto retorico perpetuo. Capace di riproporsi sempre rinnovata e attualizzabile nel tempo, l'opera sarebbe assoggettata soltanto alle intrinseche caratteristiche archetipiche, che ne garantirebbero resistenza e adattabilità al perenne progresso del linguaggio.
I Simboli del Concilio di Ezio Gribaudo, inscenando un vero e proprio pellegrinaggio, raccolgono le tracce dell'intera cultura occidentale: a partire dal substrato grafico e alfabetico della pittura di Giotto e dal tonalismo Cinquecentesco di scuola veneta, le figure sono filtrate attraverso particolari e stranianti riletture dell'Umanesimo. L'Illuminismo è immortalato nella sua matrice di conquista ecumenica, rapporto evolutivo tra scienza e fede, tra speculazione e convinzione intima. Le fenditure e gli allontanamenti concettuali dallo spazio di rappresentazione, tratti in salvo dalle rapide delle avanguardie, sono ricollocati in circolo sulla tela, in un'interiorizzazione pacificata di elementi rivoluzionari. Gli esercizi barocchi, i cromatismi e la sacralità ieratica delle volute consentono al messaggio di involarsi verso rive di levante: mosaici bizantini illuminano una nuova alba dell'evangelizzazione. L'aurorale pretesto dell'Oriente si presenta come punto di fuga per un'esausta prospettiva occidentalizzata, cristallizzata nei concetti di autorialità, individualità, storicizzazione. Mitre cardinalizie, paramenti e indizi del potere temporale transustanziano in simulacri, per ritornare, definitivamente, pesci, pane e vino, arcaiche effigi, decorazioni paleocristiane... Archeologici fregi sono riformulati per l'occasione in una fruttifera dicotomia tra iconografia e iconoclastia. La Chiesa è colta, così, in un plausibile percorso di ritorno ad origini comunitarie, nella completa rivalutazione delle radici apostoliche. Le lettere di una lingua assoluta prendono vita: grafia universale, esperanto concreto, ibridazione ideale tra parola e figura.
Il passaggio obbligato attraverso la riduzione dell'immagine in una sorta di scrittura segnica era già stato individuato nei testi di Giuseppe Marchiori del 1964. Il critico intuiva, in contrasto con l'opera di Sergio Vacchi, una definizione della sensualità che esulava dall'esplicitazione carnale per farsi momento grafico spirituale: anima della comunicazione. Nello stesso anno, infatti, l'artista bolognese pubblicava, per le Edizione d'Arte Fratelli Pozzo curate dallo stesso Gribaudo, il proprio catalogo di tele intitolate al Concilio. Enrico Crispolti, che aveva dedicato intense pagine all'espressività sensuale di Vacchi avvicinandolo alla tesa e scarna prosa di Samuel Beckett, riconosceva ai simboli di Gribaudo, distanti dalle opere del primo per stile e tematica, un autentico impulso elegiaco, un'originale riflessività sognante e distaccata.
L'emotiva partecipazione che Andreina Griseri notava nell'indagine di inusitati anfratti della fantasia si accompagnava idealmente con la positiva riscoperta della linea arginante, del tratto realizzato a punta di pennello, che Albino Galvano consigliava come singolare rimedio alla pittura informale. Un tentativo di rinascimento umanistico nel pieno degli Anni Sessanta? La formulazione diaristica e il fremito pulsionale abbozzano gli affetti senza proporne una copia definita, alludendo ad una volontà di rielaborazione teorica personale e collettiva. Nel confronto con il Concilio Ecumenico Vaticano II, tenutosi dal 1962 al 1965, la cronaca si insinua nel taglio introspettivo, nel dettato intimistico. L'accenno all'attualità, alla rilevanza storica dell'evento, si palesa in filigrana, in laminate presenze, in misurate intuizioni. L'esplosione del colore non attende: è preventivata nel tracciato. Anche dopo mezzo secolo, allo stesso modo, la vena di ispirazione potrà vagare da un'opera all'altra, gioiosa e stimolante, coinvolgente per ogni aspetto dell'esistenza e del sapere, del passato e del presente. Negli omaggi a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI, al Cardinale Carlo Maria Martini, la creazione si ritroverà certa della propria libertà, perché conscia della scelta compiuta, della decisione necessaria. Aprire alla modernità, ripartendo dal Concilio – come recentemente affermato da Papa Francesco in un'intervista a Eugenio Scalfari – potrà essere il correlativo etico e sociale di questo dominio di emancipazione: destino comune al linguaggio dell'arte, della filosofia e della religione...



Ivan Fassio

Domenica 8 dicembre 2013, alle ore 17,30 nel Palazzo Comunale di San Mauro Torinese, in via Martiri della Libertà 150, viene inaugurata la mostra d’arte contemporanea “Ezio Gribaudo e il Concilio Vaticano II. Tra l'Imperatore Santo e Papa Wojtyla”, a cura diPaola Gribaudo e Ioannis Kantzas, che resterà aperta al pubblico nella Sala Conferenze del palazzo fino al 26 dicembre. Ingresso gratuito. Orari: dal lunedì al sabato 16 - 20, domenica 11 - 12

Ezio Gribaudo e il Concilio Vaticano II, Skira, 2013



martedì 26 novembre 2013

Spiegare Pieghe / Stendere Tende

Mostra Personale di Laura Ambrosi
a cura di Ivan Fassio e Marco Memeo



Il gioco – in quanto connessione autentica tra corpo e intelletto, movimento gioiosamente indisciplinato all’interno delle categorie dello spirito – garantisce un continuo progresso e un inevitabile superamento di qualsiasi soluzione intermedia. Ogni risultato, che scaturisce necessariamente da questo particolare processo ludico ed evolutivo, mantiene comunque una propria armonia: la speciale e rassicurante serenità tipica del traguardo raggiunto, percepibile nella soffusa e sospesa atmosfera dell’insieme…
In contrapposizione al lavoro, l’intrigante innovatività di libere associazioni tra le parole e le cose permea interamente l’esistenza dell’autore di quest’azione mentale e catartica. L’artista, attraverso l’incessante e coinvolgente operosità della passione, si dimentica di sé, smemorandosi della propria storia e divenendo tutt’uno con il mondo: indifferente allo scorrere del tempo, provvisoriamente autoesiliato dall’ambiente circostante. Così dovevano creare i primi uomini, in assetto comunitario, partecipi della ciclicità della vita per incessante lavorìo: essi stessi natura, mossi e commossi da profondi impulsi animali…
Laura Ambrosi compie gesti ancestrali con strumenti della contemporaneità: piega e dispiega, testimonia ed incide, adorna e decora, scrive e descrive, mischiando tradizione e tecnologia. Sciogliendo e riannodando, l’artista tende e distende i propri lavori, oscura ed illumina gli antri dell’incontro con l’altro, in cui le domande si pongono, in cui l’arcano si rivela. Trasposti metalinguisticamente in materia plastica, oggetti di uso quotidiano rispondono alle esigenze dell’inconscio. I sogni prendono forma da sostanze che riappaiono adeguate all’essenza stratificata dei pensieri e della memoria. Abiti non più indossabili si affacciano da improbabili guardaroba; tovaglie e fazzoletti rifiutano l’ordine, irriducibili alle cassettiere; coperte e lenzuola ripropongono un momentaneo catalogo delle infinite varietà dei ricami. L’equilibrio, pacificante e appagante, è conquistato nella simulazione liberatoria della rete di relazioni: emerge con grazia di danzatrice, tanto dalla leggerezza di trame e fascinosi riflessi, quanto dalla concretezza ponderata ed elegante delle installazioni.
L’esposizione Spiegare Pieghe / Stendere Tende, nell’appropriata ambientazione della Stireria della Certosa Reale a Collegno, dialoga giocosamente con il contesto, tessendo imprevisti legami tra attività presenti, ricordi locali, valenze storiche ed architettoniche, dinamici mutamenti. Quinta a mezz’aria, scenografia domestica in prospettiva straniante, la mostra occupa una manica recentemente ristrutturata adiacente all’ex Lavanderia a Vapore. Strutture un tempo destinante alla funzione di Manicomio Regio, all’interno di un complesso monastico risalente al Seicento, ospitano ora rassegne teatrali, scuole di danza, spettacoli di balletto. In questo incrocio reale ed ideale di storia, problematiche sociali, architettura e creatività, i tenui fili e le superfici trapuntate di Laura Ambrosi riallacciano i frammenti dispersi in un’estrosa e fertile soluzione…


Ivan Fassio

Laura Ambrosi, Altalena
Inaugurazione 5 Dicembre 2013, a partire dalle 18:00
Dal 6 Dicembre 2013 al 2 Febbraio 2014
Orari: Giovedì – Domenica, 17:00 – 19:00
In occasione degli spettacoli della Lavanderia a Vapore
la mostra sarà visitabile fino alle 21:00
Stireria – Certosa Reale
Corso Pastrengo, 51
Collegno (TO)














Laura Ambrosi, Canavé, installazione, metacrilato, neon, 2010

venerdì 8 novembre 2013

Self-Identity


Ritrarsi – dipingersi o tirarsi indietro?
Io mi ritraggo ossessivamente, propongo un'immagine di me che si discosta progressivamente dall'originale…
Io mi ritraggo ossessivamente, ad ogni mano che mi cerca indietreggio di un passo…

Io ritratto, forse nego, mento, tradisco…

Umana è questa dispersione, che è scissione: ad ogni effigie, un'interpretazione – ad ogni comunicazione, un'incomprensione! L'identità è linguaggio: attributo cangiante sull'assoluto sostantivo, dove il verbo è sempre transitivo. Messaggio scorrente su esistenza vuota consente il vettore di energia, che sposta senza oggetto la casa dell'attore: il viaggio!

Una volta scoperto l'ingranaggio, manifestato il meccanismo, io non tratto più, resto senza credenziali, sono puro, circolare, esprimo ciò che anelo…
Ad un tratto, sono autenticamente il velo! Candidamente, non mi devo ri-velare…



Ivan Fassio



Hermann "Sinsegundos" Reiter, Pneuma

L'Identità Rivelata dagli Oracoli

per Krisis, mostra curata con Fabrizio Bonci e Silvio Valpreda

L'identità dimora nel ricordo? No: probabilmente la nostra essenza non può abitare – e la memoria, quando vagamente attendibile, è nomade. Fluttuante, lo spirito non morirà mai – noi, fortunatamente, non lo sappiamo –, e mai potrà possedere alcunché: mai avere, per definizione, ma soltanto essere, in eterno! Guardando indietro, tuttavia, scorgiamo un residuo che lega tracce di noi ad  un corpo che non ci appartiene, ma che ci vive momentaneamente, consumando insensatamente materia inutile... Un'intuizione remota: sapere di qualcosa o qualcuno che ci inganna sempre. Dissidio continuo, mistero irritante, umano fastidio.
L'Io non è sostanza, bensì relazione. Siamo ancorati ad un porto che non esiste, fermi a contrattare  su un molo affollato. Le nebbie si dissipano come in un sogno e ci lasciano vagare in una calca prima impensabile, gli occhi lucidi. Mercanzia ammassata sulla banchina, il nostro bagaglio interiore è produzione non commerciabile. I passanti ci ignorano –  nessuno ci vuole –, siamo stranieri sporchi e illetterati. In quanto barbari per costituzione, sarebbe auspicabile che noi ci muovessimo, che caricassimo i nostri tappeti sulle imbarcazioni per perderci definitivamente nelle foschie, superando le correnti che battono il pontile. Non lo faremo mai,  perché siamo codardi!
Chi siamo, dunque, non possiamo dirlo, infatti siamo rivelati. Una bocca ci ha sussurrato nome, storia, destino. Il corpo viene modellato dalla terra secondo meccanismi di semina, riscaldamento, fermentazione e lievitazione: incredibilmente riconoscibile di giorno in giorno...

Il confine affrontato da Valter Luca Signorile è la zona di prova per un fallimento. Sappiamo ciò che si oppone a noi prima di sperimentarlo, ma simuliamo l'impresa: tentativo o tentazione di un'anima animale?
Le maschere di Claudio Cravero si avventurano in altre esplorazioni. Che cosa riconosciamo? Con quanta fretta i nostri sensi sono assuefatti alla nuova abitudine!
I corpi di Hermann Sinsegundos Reiter sono linguaggi comunicanti. Esperanto carnale, ogni lineamento cela il tenue frullo interiore, il friggere esile della psiche.
Mirjam Elburn coltiva i capelli, escrescenze mnemoniche, inassimilabili tracce della vita – filamenti composti dalla stessa sostanza dei sogni!



Ivan Fassio

Claudi Cravero, Multiple Personalities

venerdì 27 settembre 2013

LO STRANIERO - Prospettive e Interpretazioni

Lo Straniero

A cura di Ivan Fassio e Marco Memeo

Fabrizio Bonci, Sarah Bowyer, Jean-Paul Charles, Roberta Corregia, Carlo D'Oria, Enzo Gagliardino, Giovanna “Giogia” Giachetti, Paolo “JINS©” Gillone, Carlo Gloria, Marco Memeo, Riccarda Montenero, Marco Seveso, Gosia Turzeniecka

Da Venerdì 27 a Domenica 29 Settembre 2013
Inaugurazione Venerdì 27 Settembre, ore 18:00
Spazio Vinci
Piazzetta Leonardo da Vinci, Asti

Nell'ambito di SLAFF “Social Lab Film Festival”, la mostra collettiva Lo Straniero indaga il rapporto delle arti figurative contemporanee – pittura, scultura, fotografia –, della video art e del documentario sociale con le tematiche dell'estraneità, della diversità e della migrazione. Ad Asti, dal 27 al 29 Settembre 2013...

Da un prospettiva processuale ed esperienziale, le arti non rappresentano più una giurisdizione esclusiva della bella apparenza, bensì una forma di accrescimento del sensibile, un dominio della sperimentazione percettiva. Ci interrogano e si interrogano. Ci insegnano a vedere, udire e sentire diversamente, tramite un linguaggio tanto innovativo quanto originario e autentico. Il loro discorso custodisce una grammatica che non deve soltanto essere studiata e interpretata, ma che vuole essere parlata, divulgata, trasmessa, professata. In questo senso, lo sfaccettato ambito di significazione di un'opera d'arte è un luogo aurorale, un insieme di azioni sempre in statu nascendi, nella continua interazione dell'opera con lo spettatore: il pubblico, l'altro. Proprio questa alterità garantisce la rinnovabile possibilità di costante crescita, ricerca, presa di coscienza.
Ogni fenomeno interpretabile si pone inesorabilmente sotto forma di esigenza che procede dall'incontro e dal confronto. L'azione costruttiva dell'estraneità, tuttavia, si mostra soltanto indirettamente, attraverso le domande. La conseguente risposta dell'arte non è né arbitraria, né obbligata – è inevitabile. Come se si trattasse di un'intrinseca categoria che ne assicura la validità, essa non può non presentarsi. L'alone di perenne produzione di senso si sviluppa a partire dal riscontro che essa dà oppure rifiuta, in un dialogo continuo con la diversità che le si avvicina. Estranea a se stessa, opaca e carica di inesauribili facoltà – in quanto massima espressione del dialogo e della condivisione –, ogni pratica estetica si trasforma e ci trasforma in apparati di reazione, in meccanismi di elaborazione, in ingranaggi decifranti. Ognuno di noi, straniero di fronte all'incommensurabilità delle interpretazioni, comprende al massimo grado la propria condizione di migrante, di pellegrino della conoscenza, di clandestino all'interno di un sistema che svela a poco a poco, sotterraneamente o progressivamente, le proprie dinamiche interne e potenzialità relazionali. Siamo noi gli stranieri che si aggirano, incuriositi, di fronte a un paesaggio mai visto, che soffiano su volumi impolverati tra gli scaffali di una biblioteca, che ricopiano il codice ereditato, che tramandano una storia mai uguale a se stessa...



Ivan Fassio

Carlo Gloria

Un Segno di Pace

a Lo Straniero

Nostro desiderio, inconsciamente, è sempre una realtà: bramiamo il mondo che non c'è, al di là della creazione di senso individuale e collettiva, del sapere personale e della storia. Motore delle apparenze, il verosimile ci porta al largo, attraverso un'elaborazione delle strutture tipiche e della nostra volontà. Ciò potrà convincerci irrevocabilmente che noi, davvero, non siamo. Mai stati da sempre, proprio come per un'illusione.
L'attendibilità, a cui tutti aneliamo, obbliga l'immaginazione ad attivarsi, a ritagliare l'effigie di ciò che resterà riconoscibile. Immaginare diventa la capacità di creare il nostro universo dal nulla: al di là fuma il niente, nello spettro delle evaporate essenze.
Verità è anonima e parziale, così sia: non sarà mai materia di un sapere posseduto. In una sorta di magazzino inconscio e impersonale sembrerebbero essere depositati i simboli grammaticali e sociali, privi di significazione, stoccati finché non riusciranno ad incarnarsi in una persona. Amen: venuto alla luce, il soggetto conferirà significato a questi frammenti atavici, affaccendandosi intorno a un'unità astratta. Per conferire carattere antropomorfico al mondo circostante, lavorerà sul proprio aspetto, come se uno specchio l'avesse plasmato da un'origine informe. Il nostro viso sarà la prima delle apparenze, modellante ed efficace: il modo per incontrarci in un mondo inesistente. Per scambiarci un segno di pace...
 Ivan Fassio

Jean-Paul Charles

giovedì 26 settembre 2013

Autunno Annunciato

Su "Danza d'Agosto", di Fabrizio Bonci

L’Estate Indiana
Era ancora lontana.
La covava – concepita
In tinte più fosche –
Un autunno annunciato,
Neppure iniziato.
Condiviso era il sogno
Di un giorno più caldo:
Ma con distacco vissuto,
Senza attesa di danze e banchetti.
Talvolta, per eccezione,
Con lo spirito d’un estraneo ingordo
Che siede al pranzo nuziale
Senza conoscerne i riti...

 Ivan Fassio

Fabrizio Bonci, Danza d'Agosto, still from video

L'Occhio e l'Orizzonte

su “Starlight Station” di Roberta Corregia

L'orizzonte potrebbe essere indagato come se fosse la carta di una pagina: un futuro da colmare, lo spazio di un'eco, un cielo da conquistare. Ciò che vediamo, purtroppo, è soltanto lo strato iniziale, nella sbiadita stabilità di un quadro. Occorre percorrere il cammino, per percepirne tutte le profondità: affrontare il viaggio e terminarlo.
L’occhio è, in contrapposizione, una nube in prospettiva, uno sciame di nostalgia: riflessi dell'ambiente circostante dispensano i personaggi in scena da ogni responsabilità. Se non fosse così, l'isolamento sarebbe tempesta, perché la parola è relazione. E tradirsi significherebbe soltanto apporre un'immagine isolata e inautentica tra se stessi e il mondo, indirizzare il proprio speciale messaggio a tutti o a nessuno...

Ivan Fassio

Roberta Corregia, Starlight Station

Della Fondazione del Mondo

su "Master Mind", di Paolo "Jins" Gillone

Gioco, rituale, mito: la creazione di significato ha una base ludica. L'andamento a ritroso spalanca le porte all'interpretazione. Quattro punti cardinali gettano i vettori e le linee di forza, le coordinate di colore per l'immaginazione di una mappa, l'individuazione di presenze e incontri, il riconoscimento delle strutture di relazione che fondano il mondo.
Il sacrificio rivela sempre il meccanismo sottostante ad ogni società, alla formazione di ogni operazione di potere. In un orizzonte apocalittico, le verità ultime saranno svelate attraverso la presa di coscienza di questi procedimenti. Il linguaggio evaporerà, lo spazio ed il tempo svaniranno, la pura contemplazione rimarrà: attonita, estraniata, ammutolita...

Ivan Fassio

JINS, Master Mind

L'Intercambiabilità delle Soluzioni

su "Interferenze", di Carlo D'Oria

La scultura può coincidere con la superficie, nel dominio dei sensi. Rincorrere una sinestesia, dallo schermo della nostra percezione, può portarci a ignorare la compiutezza della realizzazione e a coinvolgere agenti diversi, ad attivare funzioni di dialogo e condivisione addirittura in noi stessi. 
Un'illusione sostiene l'opera: la creazione di un miraggio collettivo che garantisce la visione. Nonostante tutto, il suo alone di significati continua indifferentemente ad agire. Inseguendo una meta di disvelamento, l'artista può sottolinearne le strutture – rendendole pesanti o alleggerendole - e amplificando la radice dell'apparenza. Il fascino della comunicazione emerge, allora, dall'intercambiabilità delle soluzioni. Il sistema si muove come una macchina, ma gli ingranaggi non sono funzionanti. La produzione di senso è attivata dall'esterno, a motore spento. Siamo noi ad avviarci per la strada della comprensione: la meccanica della rete è al nostro interno. 

Ivan Fassio

Carlo D'Oria, Interferenze

Per una Metonimia della Visione


su “Quasi Tutti”, di Carlo Gloria


Il nostro profilo è un risultato del compromesso tra spirito e vita. Paghiamo il conto, riconoscendoci, ad un'economia che ci piega: percepiamo, in questo modo, ciò che conviene, inconsapevolmente. Come per un nome, la figura si fa linguaggio – ci chiamiamo attraverso i lineamenti sgrossati, utilizzando le fattezze stilizzate. Ci somigliamo definitivamente, diventiamo noi stessi e coincidiamo con le sommarie parole che ci definiscono: le nostre generalità, appunto. Ci rincorriamo, eludendo il tremendo pericolo della scena impossibile, del gesto inconcludente, dell'irriconoscibilità dovuta ad un cambiamento radicale. 
Metonimia della visione è quest'azione di convincimento. Riconoscere l'uomo dai lineamenti del volto equivale, in termini retorici, a denominare una cosa con il nome di un'altra. Che la prima possa essere considerata in relazione di dipendenza o di continuità con la seconda è potere del simbolico: collo di bottiglia, bicchiere di vino, decisione del cuore...
Intrappolati nelle parole, spieghiamo il procedimento con un'ulteriore locuzione: prendere confidenza. Vanitas Vanitatum, sterminata forza del fallimento, emergente nella continua sostituzione linguistica del luogo originario, del momento immacolato! Per un'analogia dello spostamento, sostituiamo idee e immagini con altre associate ad esse, per renderle più affabili. Per inventarne l'abitudine futura, la nostra...

Ivan Fassio
Carlo Gloria, Quasi turri, 2010

Il Valore Aggiunto

su “Occidente, Oriente”, di Sarah Bowyer 

Interrogarsi sulla storia significa acquisire la consapevolezza dei continui mutamenti di significato dei segni, delle stratificazioni interpretative di metafore, simboli, miti. L'intervento del singolo è valore aggiunto e strumento conoscitivo all'interno di strutture archetipiche, riconosciute e condivise: sasso gettato nel lago dell'umanità.
Alla luce di questi limiti, come immagini di modernariato in movimento tra Oriente e Occidente, i nostri messaggi, dinamici o secolarizzati, perdono lentamente il loro valore odierno per riconquistarsi una sacralità. Del loro contenuto potrebbero restare, col passare del tempo, soltanto le tracce del verbo, il segno dell'urgenza e, infine, la testimonianza di una necessità.
Il nostro compito nel presente rimane, così, la rivelazione dell'inespresso: cercare risonanze dell'animo e, da queste, ricreare sensazioni. Affidare questi esercizi ad una libera arte di rappresentazione, che riesca a fondere astrattismo e figurazione, equivale a comporre una musica: escogitare fluide armonie laddove ristagnavano inestricate suggestioni o pesanti cumuli di parole.

 Ivan Fassio

Sarah Bowyer, Occidente Oriente

lunedì 23 settembre 2013

L'Impronta Liberata

su “Fabbrica” di Marco Memeo

La soluzione bagna la riva, lava la traccia di un percorso a ritroso. Ripartiti dai ricordi, abbiamo fallito nel tentativo di approdare alle sensazioni che li avevano generati... Ritroviamo, a malapena, il desiderio nostalgico di abitare il mondo e di abbandonare il divario che frequentiamo nei momenti della creazione. La nostra chiaroveggenza è tragedia, crollo insanabile che si infrange e ritira ad ondate, come una marea. Il nostro catalogo, incompiuto e imperfetto, è tentativo imbarazzante di forzare l'esistenza, di schiudere un mistero. 
Abbiamo creato ciò che già conoscevamo! Nonostante tutto, la nostra vita appare in nuova luce. Le parole, sebbene rare, si riuniscono confusamente e testimoniano un rinato approccio al loro senso – che non avremmo più ascoltato –, rinominano interi periodi del viaggio – che avremmo dimenticato di compiere –, creano una polifonia di incontri – che non avremmo mai immaginato –. Un florilegio di brani composti da diversi personaggi, dagli stranieri che convivono nella nostra coscienza: nessuna spiegazione per chi attraccherà a questi moli, soltanto dissolvenze per sprigionare il tempo di una possibile interpretazione. I simulacri restituiranno la città disabitata, la donna sola nella sua distanza, uno scorcio fissato da uno sguardo assente, qualche scaltro furto alle nostre sensazioni. Non nel marmo, non nel fuoco – nell'incedere frangente delle onde, il calco libererà un'impronta! 

Ivan Fassio


Marco Memeo, Fabbrica, acquerello su carta


L'Intuizione e la Copia

su "Noli", di Gosia Turzeniecka

L'approdo sarà arduo, tra correnti di flussi. Lavare una riva frequentata, incredibilmente, dai miraggi della città sarà dovere dell'onda, in uno sciabordio stillicida a cui ci saremo assuefatti. Tornando da un etereo viaggio nell'auscultazione del paesaggio urbano, potremo mai riscoprire, senza soluzione di continuità, la forza del fiato animale? 
Nel tragitto a ritroso dalla tecnologia all'autenticità dell'esistenza, assopirsi è inevitabile, poiché passare con un balzo dai compiti della società organizzata alla libertà della campagna richiede, necessariamente, un tratto di pausa, qualche punto di sospensione. L'intervallo può facilmente mischiare lo spazio e il tempo. Allo stesso modo, la distanza, tradotta in scansione di momenti, tende ad amalgamare percorso e durata. Affondato alle radici dell'albero del sogno, questo curioso impasto ne nutre le visioni. Sono le immagini dell'abbandono e dell'abbraccio ritrovato, le chiare premonizioni di un ritorno vissuto alla luce della natura, dove sopravvivenza e pericolo si mescolano nella piena percezione del giorno e della notte. 
Ora, la meta ci è curiosamente estranea. Candidamente, l'uscita da noi stessi è l'unica missione: il favore da corrispondere a un'umanità lontana e umile, in bilico tra presenza vitale e oblio dello sviluppo. Comunità inconsistente, difficilmente assimilabile, idea affascinante e grezza, ma fonte d'ispirazione e forte come un archetipo. Totem per adorare, ex voto per rendere grazie, muro per chiedere perdono: saranno gli strumenti da utilizzare per le nostre nuove strutture, per inedite costruzioni. Arriveremo quando avremo finalmente riletto questo testo, quando la copia della prima intuizione sarà definitivamente realizzata.

 Ivan Fassio

Gosia Turzeniecka, Noli, acquerello su carta, 2012


Malinconia e Catastrofe

su "Senza Titolo", di Enzo Gagliardino

Ai margini di ogni rappresentazione stabile – immagine o testo –, la malinconia fievolmente intona un suo canto. Tutto è vuoto, ogni sforzo è stato vano. Il mondo giace freddo: le sue strutture smarrite si involano verso un cielo gonfio, appesantito.
Il presentimento della catastrofe di ogni progresso, da sempre, ha abitato questo angolo della mente, questa porzione estranea della coscienza. Da sempre, qui, ciò che avevamo auspicato non si è mai avverato. L'esistenza appare, di conseguenza, come un vuoto contenitore. La Storia s'impone come un cieco meccanismo, che continua a significare, incessantemente, crudelmente. I tasselli della cultura e della tradizione, un tempo condivisi, hanno eretto le mura di una conoscenza astratta, tenuta a difendere, almeno nelle apparenze, una città devastata nel suo interno.
Fare luce sui confini della nostra percezione, sulle zone d’ombra del nostro essere, è stato da sempre compito dell'Arte, in un gioco spesso pericoloso, dissoluto: in uno scavo continuo che diventa vizio, perché va ad assillare, intimamente, le categorie del nostro pensare e del nostro sentire – la nostra abitudine.


Ivan Fassio


Enzo Gagliardino, Senza Titolo

domenica 22 settembre 2013

Tensioni Vettoriali e Tracce Esistenziali

su "La Mattanza", di Riccarda Montenero

Il territorio non equivale esclusivamente ai concetti di ambiente, paesaggio, costruzione, ma mantiene fortemente una valenza vettoriale: garantisce una condizione di entrata e uscita incessante, una perenne funzione di incanalamento, l'inevitabile tensione migratoria della comunicazione, dello scambio, della conoscenza.
Le coordinate di localizzazione sono semplicemente deducibili dai segni di demarcazione prodotti dalle creature. Per gli animali, le indicazioni imprescindibili e i confini biologici risultano molto precisi e circoscritti. Gli uomini, operando una grande quantità di segni, tratteggiano lo spazio, senza definire limiti statici: viaggi, assedi, insediamenti, guerre. Agiscono creativamente, consumano poeticamente, si spostano seguendo simbologie, linguaggi e affetti.
L'artista, declinando il proprio operato secondo infinite possibilità, incide l'universo con i colori e le forme, con le parole e le immagini: tali segnalazioni costituiscono un flusso che va dall'autore al mondo, e viceversa. In questo caso, l'esistenza si esprime nell'invenzione di segni, i quali, riproducendo i meccanismi della vita, marcano esplicitamente la geografia terrestre, ripiegandosi sensibilmente sulla loro stessa finalità: mise en abyme, circolo vizioso, mimetismo tautologico. Gli artisti sarebbero, in questo senso, equiparabili a bestie sovrumane, pachidermi in continuo spostamento, stormi capaci di portare, lasciare o depositare un messaggio compiuto in modo inequivocabile e manifesto...

Ivan Fassio

Riccarda Montenero, Le Refuge, da "Libre Circulation"

Gli Esiti del Viaggio


su “Clandestini” di Riccarda Montenero

Nell'esperienza della contraddizione, il tempo si fa macchia illogica, accumulo di informazioni. Allo stesso modo, un dislocamento difficilmente tracciabile può rappresentare le dinamiche di appropriazione e dispersione di una problematica e disordinata produzione di significati.
Lo spazio si compone teatralmente, ridotto a simulazione di un non-luogo rivisitato: limite consunto, valvola di sfogo più che situazione di stallo. L'esausto sfiato della parola incarnata giunge ai sensi di un altrettanto spossato visitatore: il pubblico, con il suo fardello di preclusioni o con il suo carico di speranze. Monconi, uncini e tronchi di un corpo nomade preparano la zona di una futura permanenza, di una sistemazione stanziale. Questo particolare territorio occupa il tragitto di un'invasione barbarica. Dalla spiaggia di attracco clandestino – infestata da inesorabili presagi mortiferi – ai locali di stoccaggio, la traccia grammaticale delle migrazioni si condensa in ieratiche figure scultoree, in effigi sinuose e misteriose.
Allacciata agli avvenimenti testimoniati dalla storia e dall'attualità, la tragedia rilascia un alone universale, distaccato, che evapora, fluttua e, finalmente, condensa. Questi risultati coincidono con gli esiti archetipici del viaggio: gli ostacoli del percorso, la preghiera, la sublimazione poetica, il passaggio denso del tempo, l'enigma di un orizzonte sconosciuto, l'abbraccio sensuale della conquista, la contaminazione e l'epidemia, le sbarre della prigionia...

Ivan Fassio


Riccarda Montenero, Clandestini, still from video