mercoledì 18 gennaio 2012

Dialogo tra Fede e Indifferenza sulla Categoria d'Impossibilità

Michelangelo Castagnotto - L'inestimabile patrimonio delle diverse qualità di the che abbiamo notato io, Alessandra ed  Enrico - installazione, 2011









Fede: L'impossibilità è categoria di ardua definizione, basta un niente e s'incappa in contraddizione. Ciò che la mente può pensare è forse infinito, resiste in un linguaggio. Nulla è, dunque, impossibile, ma basta ragionare su una qualsiasi sensazione e ci s'inceppa in qualche grumo di parole. L'impossibilità è, allora, dietro la porta e si materializza come un baratro.

Indifferenza: Credi, così, che non sia davvero possibile tutto ciò che pensiamo? La nostra immaginazione può, a parer mio, realizzare tutto.

Fede: Tutto non si dà: nello scorrere del tempo, è nozione incompleta se paragonata alla possibilità. Tutto si darà a chi comprenderà il fine del gioco che sovrasta l'esistenza.

Indifferenza: Se non tutto, l'immaginazione può, almeno, tanto. Può avanzare sempre di un passo rispetto all'esistente, creare e ricreare, finire e trasformare. Nelle relazioni che l'immaginazione può istituire tra ogni cosa, l'impossibilità non può esistere.

Fede: L'impossibile non esisterebbe, soltanto se la creazione potesse apparir muta, slegata dal linguaggio. Ma, una volta formulata nel discorso, una sensazione – oltre a perdersi in mille congetture – cede alla gabbia dell'espressione la sua originalità.

Indifferenza: Dove, dunque, si realizza questa sostanziale impossibilità?

Fede: Giù nei sensi che, liberati dalla comunicazione, sarebbero lo specchio dell'esistere. Questa linfa originaria, una volta compromessa, ci fa inciampare nella brama di condividere con gli altri l'esperienza.

Indifferenza: Dovremmo sostenere, quindi, che l'impossibilità non è categoria assoluta, ma impaccio che si crea all'interno del mondo delle relazioni?

Fede: Esattamente. Nulla è tanto impossibile quanto comunicabile. Crea qualcosa di fittizio, verosimile o irreale, un'immagine o un elenco, e mostralo a tutti durante il tuo viaggio. Spiegane il funzionamento inventando, a somiglianza del mondo che conosci, meccanismi che agiscano per necessità. Lo spettatore sarà tratto in dubbio e cederà: impossibile sarà soltanto il rapporto tra linguaggio e realtà.



Ivan Fassio

martedì 10 gennaio 2012

Viaggio a New York di Ezio Gribaudo

Testimonianza e sperimentazione artistica si incontrano nel DVD e nel libro editi da Skira e presentati il 9 gennaio al Cinema Massimo di Torino


New York è una città fatta di colossi di cristallo sui quali il sole batte provocando torrenti di luce
Lucio Fontana

Ezio Gribaudo

I film di Andy Warhol, girati tra il 1963 e il 1964, si presentano come quadri. Concepiti per essere proiettati su una parete bianca, mostrano azioni ripetute nel tempo, inquadrate da un unico punto di vista. L’interesse del regista è rivolto alla composizione dell’immagine. Quest’ultima, rallentata o amplificata, accompagna lo spettatore nella riflessione sulla percezione di strutture spazio-temporali.
Il film Viaggio a New York, girato da Ezio Gribaudo e Francesco Aschieri nel 1961 e presentato il 9 gennaio 2012 al Cinema Massimo di Torino, oltre a preziosa testimonianza dell’esperienza artistica di Lucio Fontana, rappresenta uno riuscito tentativo di trasporre su pellicola una serie di intuizioni delle avanguardie figurative degli Anni Sessanta. Alla pari degli esperimenti cinematografici di Warhol, le inquadrature di Gribaudo sono alla continua ricerca di particolari associazioni di immagini. L’artista è, tuttavia, affascinato dalla resa del movimento. Ogni staticità è, in questo modo, abolita. Dissolvenze, chiaroscuri, bruschi cambi di punto di vista diventano privilegiati metodi espressivi per imprimere su pellicola il fermento della metropoli, la fluidità e la lucentezza di vetrate e cartelloni pubblicitari, l’imponenza di bastimenti, areoplani e grattacieli.
Ritmo e velocità sembrano essere le coordinate da cui partire: ai momenti di stupita contemplazione sulle strutture della città si contrappongono inquieti e ossessivi sguardi su immagini isolate, su giochi di luce, su singolari contrasti del paesaggio urbano. La stessa evoluzione estetica di Lucio Fontana si trova riflessa nelle soluzioni avanguardistiche del filmato, negli inquieti segnali che la telecamera riesce a scovare tra le pieghe della contemporaneità.
Il film è un riuscito commento artistico e valore aggiunto al viaggio compiuto in occasione dell’uscita del volume di Michel Tapié, Devenir de Fontana, curato da Gribaudo per le Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo, e della relativa mostra di Lucio Fontana alla Galleria Martha Jacskon di New York nel novembre 1961. Trascorsi cinquant’anni, Gribaudo ha deciso di mostrarlo e i Supershock (Paolo Cipriano e Valentina Mitola) hanno composto la colonna sonora per questo documento dell’epoca. Alla prima proiezione, il duo si è esibito in una performance di sonorizzazione dal vivo. Chitarra, flauto, tastiere, il basso di Valentina Mitola e una batteria hanno tracciato dal vivo una pregevole e toccante colonna sonora, impreziosita dagli interventi vocali di Paolo Cipriano. Mimeticamente, ritmi e armonie hanno sottolineato i veloci cambi di inquadrature e i momenti di pausa sognante all’interno del frastuono metropolitano. La suite New York 1961 è stata appositamente scritta dal duo musicale, internazionalmente riconosciuto per cineconcerti su film dell’espressionismo tedesco.
L’evento, che ha aperto la stagione del Cinema Massimo, è stato preceduto dalla presentazione di DVD e libro editi da Skira con una presentazione di Stefano Cecchetto.
Ivan Fassio




Ezio Gribaudo e Lucio Fontana
Cronaca di un Viaggio Americano
Skira, 2011
Isbn (978): 8857212128