Laura Ambrosi, Ricamo su Torino, courtesy GAM |
Dare
un senso
a un tessuto urbano - a un testo, quindi, nella sua accezione
fedelmente etimologica - ha a che vedere, più dualisticamente ancora
che per altri campi di studio semiologici, con l'indicazione di
significato
e direzione.
La direzione, per quanto riguarda i "segnali veicolari"
dell'architettura e dello studio del paesaggio, è già, di per sé,
un significato. Non c'è, infatti, significato sociale che non tenda,
in modo progettuale, a un fine o che non abbia delle solide radici in
un luogo spaziale, sia esso reale o metaforico. La nostra stessa
conoscenza, la nostra capacità di produrre simboli e di leggere il
mondo che ci circonda, si basa sulla spazialità e sulla percezione
di forme archetipiche.
Partire
dal territorio, dalla città, dal paesaggio, volendoli analizzare
come testi, significa, in questo senso, cercare in essi delle
opposizioni
e dei punti di tensione
-
dei momenti in cui il cammino dei significati si perturba.
Occorrerà,
quindi, individuare dei percorsi
-
dei labirinti?
-, dei recinti,
in cui localizzare l'analisi di contraddizioni, eccessi, attriti.
Sarà, così, la città stessa con i suoi archetipi a venire in
nostro aiuto fornendoci le sue strutture come modelli per analizzare
il suo testo. Dalle intenzioni politiche, sociali, ideologiche,
casuali di un progetto fino alla sua realizzazione, e poi, a partire
da qui, dal luogo abitato (che sia edificio, zona, parco, periferia)
o comunque dal primo attimo della sua percepibilità, fino ad
arrivare alle sue riutilizzazioni
- e ritualizzazioni?
- pratiche o metaforiche (rivalutazioni, accumulo di significati,
simbologie, mitologie).
L'individuazione
delle differenze che il filosofo francese Jacques Derrida riconosceva
come caratterizzanti ogni testo scritto sarà la traccia che potrà
guidarci in uno dei possibili, infiniti itinerari. La differenza
-
continua acquisizione di accezioni - intesa come realtà ultima che
condiziona ogni creazione, ogni linguaggio nel suo inevitabile essere
nel tempo, ogni interpretazione di attività umane. Ci accompagnerà
la presa di coscienza che di ogni tessuto urbano, creato da un
insieme dinamico di fattori, verrà inevitabilmente a mancare il
concetto di autorialità. Come in ogni testo, ci si muoverà a
ritroso per approdare quasi sempre all'inconnu,
al mistero della nascita, all'intenzione di partenza ormai
dimenticata con il passare degli anni, scalzata, nelle sue ragioni,
dall'avvicendarsi delle culture, dei modi del costruire.
Quante
volte, in questo senso, correnti e avaguardie architettoniche hanno
cercato di esorcizzare l'inquietudine provocata dalle percezioni di
una generale rottura, di una frammentazione epistemologica,
recuperando l'innocenza di simboli archetipici (piramide, sfera,
cerchio, ellisse, labirinto). Hanno rivisitato le originarie
intenzioni comunitarie, rituali, simboliche e hanno scoperto, infine,
che queste si installano, sempre e comunque, come strutture
permanenti, ma in forme continuamente mutanti.
Giungeremo
a una considerazione dell'opera di architettura non come cosa in sé,
ma come segnale a cui ognuno, nel tempo, dà differenti risposte. In
origine questo segnale si era posto come soluzione di un determinato
spazio, per assolvere a una determinata utilitas.
Trattandosi di segno per definizione iconico, ha poi diffuso nel
tempo i propri aloni interpretativi, si è macchiato e caricato delle
stratificazioni di significato, dei cumuli delle informazioni inviate
e ricevute, dei diversi utilizzi.
Evitando
di entrare specificatamente nel dibattito sull'urbanistica, occorre
ora utilizzare i mezzi fino a qui rintracciati per leggere, allo
stesso modo, l'opera d'arte che del tessuto urbano si nutre, che da
sempre si è confrontata con questioni legate alla comprensione
dell'abitare come categoria del pensiero. Arte figurativa intesa come
campo privilegiato di riflessione, come luogo di critica, di
classificazione e, insieme, come parte integrante di quelle
sovrapposizioni che fanno la storia di un monumento, di uno spazio,
di un paesaggio. Le tensioni e le opposizioni, gli eccessi di
significato, che gli studi di urbanistica individuano nel
testo-città,
potranno esserci d'aiuto per la lettura di un linguaggio artistico.
Tenendo, naturalmente, ben presente che di linguaggio si potrà
parlare solo riconoscendo ormai che - proprio in entrambi i campi
dell'arte e dell'architettura - non vi è luogo da cui scaturisca una
sua pienezza onnicompresiva, completezza che è stata storicamente
negata, abbandonata. Il fallimento di una scienza dei segni, di una
semiologia capace di tradurre un sistema linguistico in un altro
dovrà accompagnarci, fornendoci un modello dinamico di comprensione,
nell'itinerario di lettura dell'opera d'arte e dei rapporti che
intercorrono tra questa e le questioni dell'architettura
contemporanea.
Ivan Fassio
Laura Ambrosi, Il pizzo non si paga, 2010 |