Alighiero Boetti, Pesci, serigrafia, tiratura: 75 copie, 1992, Studio Fornaresio |
Il libro di Anne Marie Sauzeau
può essere considerato, stilisticamente, come un modo di far riaffiorare alcuni
meccanismi che avevano informato la produzione artistica di Alighiero Boetti.
Allo stesso modo, l'attenzione critica spesso si assenta per lasciare emergere,
attraverso un mimetismo elegante e discreto, la realtà prodotta dall'artista
nella sua originarietà.
La scrittura è intesa come sforzo
analitico, razionale e quasi pedagogico, che oscilla tra immedesimazione fictional
nelle categorie dei procedimenti artistici di Boetti e testimonianza
privilegiata e coinvolgente di un'esistenza.
L'autrice, Anne Marie Sauzeau,
prima moglie dell'artista, cita in apertura del testo le parole di Maurice
Merleau-Ponty, nelle intenzioni di mostrare “lo strato di significato grezzo”
dei gesti artistici nel loro nascere. Proprio da questo autore inizia la nostra
conversazione.
I.F.: Maurice Merleau-Ponty scrive, in L'Occhio e lo Spirito:
"La visione non è una certa modalità del pensiero, o presenza a sé: è il
mezzo che mi è dato per essere assente da me stesso, per assistere dall'interno
alla fissione dell'Essere". Il lavoro di Boetti sulle coincidenze, sui
“nessi acausali” ha a che fare con questa volontà di studio anatomico della
percezione.
A.S.: Spesso interpretavo le opere di Alighiero alla luce della
fenomenologia di Merleau-Ponty e lui rideva. Captava le idee ma non voleva
essere un intellettuale. L'insistenza di Boetti sui concetti basilari
presupponeva che le esperienze sensoriali fossero, prima di quelle mentali,
alla base del suo lavoro artistico. Parlava di sei sensi: il sesto era il
pensiero, inteso come una vera e propria modalità di percezione. Come nella
filosofia di Merleau-Ponty, si trattava di vivere un'esperienza sensoriale e,
allo stesso tempo, rielaborarla.
I.F.: La sua scrittura, nello sforzo mimetico che talvolta
persegue, può essere considerata come un gioco al raddoppio, come una scommessa
e, quindi, potrebbe essere uno sforzo critico capace di ripetersi in altre
soluzioni, in altre pubblicazioni sull'artista?
A.S.: Non credo. Non mi sono giocata delle carte, come invece
ha scelto di fare Maurizio Cattelan nel testo Infiniti Noi contenuto
nello stesso volume. Ho tentato, attraverso commenti discreti, di chiarire
certi meccanismi, di proporre un'archeologia dei pensieri nascenti. Lo stesso
Boetti mi aveva chiesto di svolgere questo lavoro analitico e, al contempo,
mimetico. Per svelare, attraverso la complicità, alcune strutture, e, tuttavia
- come sosteneva Alighiero - “tenere nascoste le cose importanti”, conservare
un alone enigmatico intorno a certe opere.
Altra
cosa è la scrittura creativa di Cattelan. Boetti, senza rivelare il proprio
gioco, invitava a continuarlo. Quello di Cattelan e di altri eredi di Alighiero
è un lavoro di esegesi, un prolungamento infinito del gioco, un modo di
interpretare per non far morire.
I.F.: Alighiero Boetti era affascinato dalle modalità di
percezione della superficie, dell'inquadratura, dei segni numerici e
alfabetici. Un produttore di realtà (come lo definisce Hans Ulrich Obrist), che
riuscì ad anticipare alcune idee della globalizzazione e della grande
distribuzione, sarebbe stato stimolato dalle attuali modalità di condivisione e
comunicazione? Per quanto riguarda la sofferta dicotomia Shaman/Showman:
sarebbe rimasta una calzante definizione per l'artista oppure uno dei due lati
della personalità sarebbe inevitabilmente prevalso? (l'etica assoluta
dell'artista sciamano o lo sguardo critico e beffardo del giullare?)
A.S.: Penso che la sua posizione aristocratica lo avrebbe
portato a disprezzare i moderni mezzi di condivisione. Sarebbe stato
interessato dalle moderne correnti ecologiste, dalle riflessioni sulla
decrescita. Intendeva spesso il progresso come un ritorno all'arcaico. Forse
anche il suo “vivere tra opposti”, il suo equilibrismo sarebbe sfociato in una
scelta, in un risultato.. Ripeteva che voleva continuare a creare cose belle,
che non voleva fare come Rimbaud. Era, allo stesso tempo, affascinato dal fatto che molti artisti erano
stati influenzati dall'artigianato e che, invece, le sue mappe ora
influenzavano l'artigianato afghano. Talvolta, sosteneva di voler abbandonare
l'arte, di voler continuare a diffondere cose belle, diventando produttore e
venditore di tappeti che l'artigianato popolare orientale avrebbe potuto
realizzare in migliaia di copie partendo dai suoi disegni. La dicotomia
Shaman/Showman, la contrapposizione vissuta tra Occidente e Oriente, la sua
personalità avventuriera contrapposta ai soggiorni nella tenuta dell'Umbria:
tutte queste “sfide” sarebbero sfociate, forse, in una soluzione esistenziale o
artistica. D'altronde, ripeteva sempre: “Finirò calzolaio in Guatemala!”
Ivan Fassio, courtesy Exibart on Paper
Anne-Marie
Sauzeau Boetti
Shaman/Showman
Luca
Sossella Editore, 2006
Collana
Plurale Immaginario
Con
interventi di Jonathan Monk e Maurizio Cattelan
pagg.
230, DVD di Emidio Greco
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