venerdì 14 marzo 2014

Tessuto Urbano: Strutture e Sovrapposizioni

Laura Ambrosi, Ricamo su Torino, courtesy GAM

Dare un senso a un tessuto urbano - a un testo, quindi, nella sua accezione fedelmente etimologica - ha a che vedere, più dualisticamente ancora che per altri campi di studio semiologici, con l'indicazione di significato e direzione. La direzione, per quanto riguarda i "segnali veicolari" dell'architettura e dello studio del paesaggio, è già, di per sé, un significato. Non c'è, infatti, significato sociale che non tenda, in modo progettuale, a un fine o che non abbia delle solide radici in un luogo spaziale, sia esso reale o metaforico. La nostra stessa conoscenza, la nostra capacità di produrre simboli e di leggere il mondo che ci circonda, si basa sulla spazialità e sulla percezione di forme archetipiche.
Partire dal territorio, dalla città, dal paesaggio, volendoli analizzare come testi, significa, in questo senso, cercare in essi delle opposizioni e dei punti di tensione - dei momenti in cui il cammino dei significati si perturba.
Occorrerà, quindi, individuare dei percorsi - dei labirinti? -, dei recinti, in cui localizzare l'analisi di contraddizioni, eccessi, attriti. Sarà, così, la città stessa con i suoi archetipi a venire in nostro aiuto fornendoci le sue strutture come modelli per analizzare il suo testo. Dalle intenzioni politiche, sociali, ideologiche, casuali di un progetto fino alla sua realizzazione, e poi, a partire da qui, dal luogo abitato (che sia edificio, zona, parco, periferia) o comunque dal primo attimo della sua percepibilità, fino ad arrivare alle sue riutilizzazioni - e ritualizzazioni? - pratiche o metaforiche (rivalutazioni, accumulo di significati, simbologie, mitologie).
L'individuazione delle differenze che il filosofo francese Jacques Derrida riconosceva come caratterizzanti ogni testo scritto sarà la traccia che potrà guidarci in uno dei possibili, infiniti itinerari. La differenza - continua acquisizione di accezioni - intesa come realtà ultima che condiziona ogni creazione, ogni linguaggio nel suo inevitabile essere nel tempo, ogni interpretazione di attività umane. Ci accompagnerà la presa di coscienza che di ogni tessuto urbano, creato da un insieme dinamico di fattori, verrà inevitabilmente a mancare il concetto di autorialità. Come in ogni testo, ci si muoverà a ritroso per approdare quasi sempre all'inconnu, al mistero della nascita, all'intenzione di partenza ormai dimenticata con il passare degli anni, scalzata, nelle sue ragioni, dall'avvicendarsi delle culture, dei modi del costruire.
Quante volte, in questo senso, correnti e avaguardie architettoniche hanno cercato di esorcizzare l'inquietudine provocata dalle percezioni di una generale rottura, di una frammentazione epistemologica, recuperando l'innocenza di simboli archetipici (piramide, sfera, cerchio, ellisse, labirinto). Hanno rivisitato le originarie intenzioni comunitarie, rituali, simboliche e hanno scoperto, infine, che queste si installano, sempre e comunque, come strutture permanenti, ma in forme continuamente mutanti.
Giungeremo a una considerazione dell'opera di architettura non come cosa in sé, ma come segnale a cui ognuno, nel tempo, dà differenti risposte. In origine questo segnale si era posto come soluzione di un determinato spazio, per assolvere a una determinata utilitas. Trattandosi di segno per definizione iconico, ha poi diffuso nel tempo i propri aloni interpretativi, si è macchiato e caricato delle stratificazioni di significato, dei cumuli delle informazioni inviate e ricevute, dei diversi utilizzi.

Evitando di entrare specificatamente nel dibattito sull'urbanistica, occorre ora utilizzare i mezzi fino a qui rintracciati per leggere, allo stesso modo, l'opera d'arte che del tessuto urbano si nutre, che da sempre si è confrontata con questioni legate alla comprensione dell'abitare come categoria del pensiero. Arte figurativa intesa come campo privilegiato di riflessione, come luogo di critica, di classificazione e, insieme, come parte integrante di quelle sovrapposizioni che fanno la storia di un monumento, di uno spazio, di un paesaggio. Le tensioni e le opposizioni, gli eccessi di significato, che gli studi di urbanistica individuano nel testo-città, potranno esserci d'aiuto per la lettura di un linguaggio artistico. Tenendo, naturalmente, ben presente che di linguaggio si potrà parlare solo riconoscendo ormai che - proprio in entrambi i campi dell'arte e dell'architettura - non vi è luogo da cui scaturisca una sua pienezza onnicompresiva, completezza che è stata storicamente negata, abbandonata. Il fallimento di una scienza dei segni, di una semiologia capace di tradurre un sistema linguistico in un altro dovrà accompagnarci, fornendoci un modello dinamico di comprensione, nell'itinerario di lettura dell'opera d'arte e dei rapporti che intercorrono tra questa e le questioni dell'architettura contemporanea. 

Ivan Fassio

Laura Ambrosi, Il pizzo non si paga, 2010

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