martedì 24 aprile 2012

The Making of SHAMAN/SHOWMAN. Intervista ad Anne Marie Sauzeau

Alighiero Boetti, Pesci, serigrafia, tiratura: 75 copie, 1992, Studio Fornaresio

 Riscopriamo un libro ripubblicato nel 2006 da Luca Sossella Editore: omaggio emotivamente sentito ad Alighiero Boetti e, al contempo, sguardo critico rivelatore ed innovativo. E proponiamo un'intervista all'autrice, Anne Marie Sauzeau




Il libro di Anne Marie Sauzeau può essere considerato, stilisticamente, come un modo di far riaffiorare alcuni meccanismi che avevano informato la produzione artistica di Alighiero Boetti. Allo stesso modo, l'attenzione critica spesso si assenta per lasciare emergere, attraverso un mimetismo elegante e discreto, la realtà prodotta dall'artista nella sua originarietà.
La scrittura è intesa come sforzo analitico, razionale e quasi pedagogico, che oscilla tra immedesimazione fictional nelle categorie dei procedimenti artistici di Boetti e testimonianza privilegiata e coinvolgente di un'esistenza.
L'autrice, Anne Marie Sauzeau, prima moglie dell'artista, cita in apertura del testo le parole di Maurice Merleau-Ponty, nelle intenzioni di mostrare “lo strato di significato grezzo” dei gesti artistici nel loro nascere. Proprio da questo autore inizia la nostra conversazione.
I.F.: Maurice Merleau-Ponty scrive, in L'Occhio e lo Spirito: "La visione non è una certa modalità del pensiero, o presenza a sé: è il mezzo che mi è dato per essere assente da me stesso, per assistere dall'interno alla fissione dell'Essere". Il lavoro di Boetti sulle coincidenze, sui “nessi acausali” ha a che fare con questa volontà di studio anatomico della percezione.
A.S.: Spesso interpretavo le opere di Alighiero alla luce della fenomenologia di Merleau-Ponty e lui rideva. Captava le idee ma non voleva essere un intellettuale. L'insistenza di Boetti sui concetti basilari presupponeva che le esperienze sensoriali fossero, prima di quelle mentali, alla base del suo lavoro artistico. Parlava di sei sensi: il sesto era il pensiero, inteso come una vera e propria modalità di percezione. Come nella filosofia di Merleau-Ponty, si trattava di vivere un'esperienza sensoriale e, allo stesso tempo, rielaborarla.
I.F.: La sua scrittura, nello sforzo mimetico che talvolta persegue, può essere considerata come un gioco al raddoppio, come una scommessa e, quindi, potrebbe essere uno sforzo critico capace di ripetersi in altre soluzioni, in altre pubblicazioni sull'artista?
A.S.: Non credo. Non mi sono giocata delle carte, come invece ha scelto di fare Maurizio Cattelan nel testo Infiniti Noi contenuto nello stesso volume. Ho tentato, attraverso commenti discreti, di chiarire certi meccanismi, di proporre un'archeologia dei pensieri nascenti. Lo stesso Boetti mi aveva chiesto di svolgere questo lavoro analitico e, al contempo, mimetico. Per svelare, attraverso la complicità, alcune strutture, e, tuttavia - come sosteneva Alighiero - “tenere nascoste le cose importanti”, conservare un alone enigmatico intorno a certe opere.
Altra cosa è la scrittura creativa di Cattelan. Boetti, senza rivelare il proprio gioco, invitava a continuarlo. Quello di Cattelan e di altri eredi di Alighiero è un lavoro di esegesi, un prolungamento infinito del gioco, un modo di interpretare per non far morire.
I.F.: Alighiero Boetti era affascinato dalle modalità di percezione della superficie, dell'inquadratura, dei segni numerici e alfabetici. Un produttore di realtà (come lo definisce Hans Ulrich Obrist), che riuscì ad anticipare alcune idee della globalizzazione e della grande distribuzione, sarebbe stato stimolato dalle attuali modalità di condivisione e comunicazione? Per quanto riguarda la sofferta dicotomia Shaman/Showman: sarebbe rimasta una calzante definizione per l'artista oppure uno dei due lati della personalità sarebbe inevitabilmente prevalso? (l'etica assoluta dell'artista sciamano o lo sguardo critico e beffardo del giullare?)
A.S.: Penso che la sua posizione aristocratica lo avrebbe portato a disprezzare i moderni mezzi di condivisione. Sarebbe stato interessato dalle moderne correnti ecologiste, dalle riflessioni sulla decrescita. Intendeva spesso il progresso come un ritorno all'arcaico. Forse anche il suo “vivere tra opposti”, il suo equilibrismo sarebbe sfociato in una scelta, in un risultato.. Ripeteva che voleva continuare a creare cose belle, che non voleva fare come Rimbaud. Era, allo stesso tempo,  affascinato dal fatto che molti artisti erano stati influenzati dall'artigianato e che, invece, le sue mappe ora influenzavano l'artigianato afghano. Talvolta, sosteneva di voler abbandonare l'arte, di voler continuare a diffondere cose belle, diventando produttore e venditore di tappeti che l'artigianato popolare orientale avrebbe potuto realizzare in migliaia di copie partendo dai suoi disegni. La dicotomia Shaman/Showman, la contrapposizione vissuta tra Occidente e Oriente, la sua personalità avventuriera contrapposta ai soggiorni nella tenuta dell'Umbria: tutte queste “sfide” sarebbero sfociate, forse, in una soluzione esistenziale o artistica. D'altronde, ripeteva sempre: “Finirò calzolaio in Guatemala!”



Ivan Fassio, courtesy Exibart on Paper


Anne-Marie Sauzeau Boetti
Shaman/Showman
Luca Sossella Editore, 2006
Collana Plurale Immaginario
Con interventi di Jonathan Monk e Maurizio Cattelan
pagg. 230, DVD di Emidio Greco



sabato 21 aprile 2012

Linguaggi Diversi. Incontri d'Arte tra Milano e Torino


Gianni Ottaviani, Archeopatia

A cura di Gianni Ottaviani, con i preziosi contributi di Grazia Chiesa e Mariana Paparà, la mostra collettiva sarà visitabile alla Galleria Aripa di Torino fino al 26 aprile e, dal 2 al 7 maggio, alla Fondazione D’Ars di Milano 


Per gli artisti presentati alla nuova mostra collettiva presso la Galleria Aripa, indicare è ancora indispensabile. Le forme rimandano, tuttavia, all’insondabile e incomunicabile principio della rappresentazione: l’esistenza. L'elaborazione di questa rivelazione è strumento espressivo che, a somiglianza del mito, impasta  nella propria trama elementi desunti da ognuno dei cinque sensi. La  testimonianza dell’arte è  accolta dove ogni segno può diventare lingua, dove ogni differenza può somigliare alla verità.

L’opera di Gianni Ottaviani abita le dimensioni del gioco, del rituale e del mito. La creazione di significato ha una base ludica. L'andamento a ritroso spalanca le porte all'interpretazione, getta le coordinate per l'immaginazione di una mappa, l'individuazione di presenze, la finale invenzione di un nuovo mondo.

Per Ida Sacco, gli ingranaggi dell'essenza sono impercorribili. Tutto ciò che è nascosto, dall'inizio dei tempi, è il meccanismo della volontà. Struttura arbitraria, come in una trama della natura: potesse essere studiata da una scienza, le regole che ne dedurremmo sarebbero assolute.

Mariana Paparà propone figure archetipiche della difesa. I movimenti delle sue opere conservano, in superficie, le abrasioni e le ustioni della battaglia. Simboleggiano non soltanto sopravvivenza, ma elevazione conquistata attraverso prove e difficoltà: strumenti per riti di passaggio tra rivelazioni e prese di coscienza.

Per Severino Magri, interrogarsi sulla storia significa acquisire la consapevolezza dei continui mutamenti di significato delle parole, delle stratificazioni interpretative di metafore, simboli, miti. L'intervento del singolo è valore aggiunto e strumento conoscitivo all'interno di strutture riconosciute e condivise: sasso gettato nel lago dell'umanità.

Nell’opera di Lorena Fortuna, la conoscenza opera per due vie. Un approccio razionale ci permette di riconoscere categorie di pensiero e concetti. Un metodo emozionale e sensoriale ci avvicina, esteticamente, al mondo. In questo modo, partecipiamo dello scorrere delle cose e, amandole, ci pare di sfiorare tutto ciò che ci sovrasta.

L’opera di Cosmina Lefanto affronta il momento della distanza imprescindibile dalla creazione, dell'abbandono della propria identità, dell'assenza. L'unica presenza certa è l'allusione simbolica. L'immagine si apre alla molteplicità dei significati, allo scorrere del tempo, allo sguardo dell'altro.

Le fotografie di Davide Furia rivelano un approfondito studio dell’immagine in movimento. L’astrazione è un pretesto per riflettere sulla percezione di forme e colori. Portare alla luce l’inespresso, attraverso rarefazione e sfumature, è costruire una grammatica delle sensazioni.


Gianantonio Ossani realizza dagli anni ’70 assemblaggi scultorei con legni o ferri riciclati. Ogni oggetto, anche se banale o logorato dall’uso, grazie all’intervento dell’artista recupera la sua valenza estetica con accenti ora ironici, ora poetici.

Giovanni Leombianchi presenta serigrafie dai contenuti ecologici. La stilizzazione della figura e la sintesi degli elementi realistici si aprono ad una forte valenza simbolica e rivelano un nucleo metafisico. Lirismo e risvolti psicanalitici si consumano in un serrato gioco dialettico.

Jeannette Rutsche - Sperya, attraverso l’uso creativo della geometria frattale, esplora la complessità della condizione umana, il labirinto della nostra interiorità, fino a relativizzare la centralità dell’ Io nei processi di conoscenza e creazione, aprendo la propria ricerca all'essenzialità di una dimensione originaria.

Lia Malfermoni presenta opere in bilico tra insistenza materica e tenuità della rappresentazione. Immagini archetipiche sembrano scaturire da uno speciale rapporto simbolico tra strumenti e supporti utilizzati. Opere di massima riduzione formale smontano la complessa grammatica dell'arte: ci rendono coscienti dell'alfabeto della nostra percezione.

Antonella Pecoraro esplora le condizioni e i pretesti di ogni viaggio, reale o virtuale. Giochi di luce, rarefazioni, prospettive stranianti ci sprofondano alla radice del sogno e dell'esistenza, dove paesaggio e vita si confondono in un liberatorio respiro.


Ivan Fassio

Lia Malfermoni, Corpetto, tecnica mista su cartone, 2001

Galleria Aripa
Via Bertola 27/i
Torino
orari: dal martedì al sabato - 14:00 / 18:30 - http://www.aripa.eu/



Fondazione D'Ars
Via S. Agnese 12/8
Milano
orari: tutti i giorni dalle 16:00 alle 19:30 - http://www.fondazionedars.it/

mercoledì 18 aprile 2012

Trasfigurazioni di Severino Magri

Severino Magri, Trasfigurazioni
Fino al 22 Aprile, alla Chiesa della Confraternita di Trana (TO).

Per Severino Magri, interrogarsi sulla storia significa acquisire la consapevolezza dei continui mutamenti di significato delle parole, delle stratificazioni interpretative di metafore, simboli, miti. L'intervento del singolo è valore aggiunto e strumento conoscitivo all'interno di strutture riconosciute e condivise: sasso gettato nel lago dell'umanità.
L'opera d'arte è, in questo senso, strumento di crescita spirituale. Indipendente dalle dinamiche della storia, l'artista ne accoglie le stratificazioni. L'intenzione è quella di rappresentare sensibilmente, in primo luogo, gli interstizi, i momenti di pausa, gli spazi creati dal respiro del tempo. Zone dell'abbandono: la distanza tra l'occhio e ciò che è visto, il fruscio di un velo che si scolla, l'oscurità frapposta tra il viandante e la sua ombra.
A guidare la ricerca, saranno l'atto mimetico nei confronti di piani di realtà sempre più profondi e lo sforzo di testimoniare l'attimo in cui i sensi prendono vita.
Applicando questo sguardo alla storia delle idee, ad effigi sedimentate nella memoria, all'etimologia dell'immagine e dell'esperienza, l'artista acquisterà la capacità di trasfigurare ogni aspetto del reale. Estrapolare figure ricorrenti e lavorare sui significati collettivi e individuali, lasciandosi trasportare dalle infinite suggestioni di ogni interpretazione, diventerà un vizio, una modalità estrema di conoscenza. Il catalogo che ne risulterà, sarà infinitamente rinnovabile in profondità. Una sorta di coscienza verticale elaborerà un piano di analisi ad ogni scavo.
La mostra Trasfigurazioni, visitabile fino al 22 Aprile alla Chiesa della Confraternita di Trana, propone un'installazione di tre grandi opere. Ispirati a classici del passato, due dipinti e una scultura sviluppano un discorso che investe lo spirito e la materia di cui è costituita la nostra percezione. Osservo la Deposizione di Cristo è rivisitazione della Deposizione di Cristo (1602 – 1604) di Caravaggio. La tragica diagonale, in cui i persoaggi sono drammaticamente raffigurati, è ripercorsa attraverso un cono d'ombra, disgregata dalle presenze estrapolate dalla prospettiva.
Tra Pelle e Cuore è tela ispirata al Diluvio Universale di Michelangelo (Cappella Sistina, 1508 – 1509). Illusione della salvezza e paura si amalgamano in una sensualità oscura e affascinante. Come radiografia, l'opera lascia emergere le basi della nostra emozione.
La scultura, infine, è libera interpretazione e, insieme, visione periferica di un'opera di Henri de Toulouse-Lautrec. Rielaborazione plastica di suggestioni impressioniste, un cesto di frutta si staglia come un'illuminazione, dorata coscienza dell'infinità delle nostre interpretazioni.

Ivan Fassio

lunedì 2 aprile 2012

Imitare il Caso, Giocarsi la Ragione

Jan Eugen Vasile, Galleria Aripa

Mostra Collettiva a cura di Ivan Fassio e Mariana Paparà

Potremmo, per assurdo, immaginare un mondo in cui nulla riesca a rimanere taciuto? Continui – infiniti – tentativi di imitazione di ogni esperienza, sentimento, sensazione sarebbero inclusi in un catalogo che avrebbe l’estensione dell’intera esistenza. Ripiegata su se stessa, la vita lascerebbe la propria impronta, come se fosse perennemente riprodotta da un pittore all’interno di una camera oscura.
Riusciremmo, di conseguenza, a riflettere sulla scomparsa di ogni accidentalità. Tutto sarebbe contenuto in un grande libro: già scritto da sempre e, al tempo stesso, progressivamente rinnovabile. Il mondo sarebbe creato per confluire nella sua stessa copia, riproduzione esaustiva di ogni aspetto della realtà.
Il silenzio, al termine di un tale percorso, regnerebbe incontrastato. Estinto il caso, nemmeno un velo si potrebbe contrapporre alla conoscenza. Sapienza e pace conquisterebbero le nostre coscienze.
Al di là di ogni immaginazione, abitiamo un mondo lacerato. Indoviniamo soltanto le crepe in cui scrutare, i sipari da alzare, gli strappi da allargare. Siamo noi stessi la ferita da ispezionare. D’un tratto, la nostra sete di sapere si farà eccessiva e dovremo affrontarla. Troveremo innumerevoli modi per rappresentarla e per abbandonarci al suo gioco. Ne percorreremo le apparenze, le stratificazioni e, infine, le strutture fondanti. Resteremo intrappolati nei linguaggi che, di volta in volta, apprenderemo. E saremo finalmente consapevoli di non poter scommettere sulla fine del caso.
Ivan Fassio


Artisti

Cornelia Burlacu, Jean Paul Charles, Gheorghe Dican, Suzana Fàntànariu, Lorena Fortuna, Davide Furia, Ezio Gribaudo, Stefania Groppo, Franca Musso Binello, Gianni Ottaviani, Mariana Paparà, Caterina 
Pellegrini, Ida Sacco, Oana Tepordei, Ioan Tudor, Jan Eugen Vasile, Alga Zaharescu

Vernissage giovedì 5 aprile a partire dalle 18:30 _ performance poetico/musicale "Mystic Gallery Show" di
Ivan Fassio e Diego Razza

Orari Dal 5 al 15 aprile 2012 - orari: dal martedì al sabato - 15:00 / 18:30 - ingresso libero

Galleria Aripa di Mariana Paparà
Via Giuseppe Bertola, 27/i
10122 Torino


mercoledì 28 marzo 2012

Di ritorni, ricorsi e ricordi. Un viaggio spirituale in memoria di Antonio Tabucchi

J.P. Charles, Incontro con Ezio Gribaudo, 2012


Le balene possono sorridere, ma non si vedono mai i loro denti. È un detto dei pescatori delle Azzorre che Antonio Tabucchi aveva scelto come aforisma introduttivo per un libro d’artista realizzato nel 1995 da Ezio Gribaudo. Mi fa pensare alla raccolta di racconti Donna di Porto Pim e ai temi cari all’autore. Naufragi: metafore di ogni atto mancato, di ogni intenzione persa sotto l’ineluttabile strato delle apparenze. Balene: simboli del mistero dell’anima umana. Viaggi: reali e immaginari, custodi dell’altrove che nutre i nostri spiriti, di ogni verosimile possibilità che muove l’invenzione.
Mi imbatto in questo proverbio alcuni giorni fa, quando accompagno l’artista Jean-Paul Charles nello studio di Gribaudo. Il pittore e fotografo francese sta completando un suo particolare viaggio di incontro con diversi personaggi del mondo dell’arte. Percorso di conoscenza e di scambio – reale e virtuale, al tempo stesso – che terminerà con la realizzazione di una serie di ritratti da esporre il 7 luglio 2012 alla galleria En Plein Air di Pinerolo. L’incontro con il Maestro si apre proprio con il ricordo di Tabucchi, scomparso il giorno precedente. Ezio Gribaudo l’aveva conosciuto durante uno dei suoi tanti soggiorni a Parigi, al cafè dell’hotel Lenox, di cui lo scrittore era assiduo frequentatore nelle ore serali. Da quell’incontro era nata una collaborazione che aveva portato all’esposizione nel 1995, alla galleria Stubbs Books and Prints Gouaches and Watercolor di New York, di una serie di libri d’artista. Creati come opere uniche, rilegando stampe originali, questi volumi erano introdotti da un proverbio scelto dall’autore di Sostiene Pereira. Come copertina, una particolare riproduzione grafica di un cielo, orizzonte sul quale erano impressi simboli, lettere, disegni.
In una delle opere, un’invenzione del nonno di Tabucchi: “Guarda quel fico come è grosso, disse il beccafico accingendosi a beccare il fico, quello me lo becco io. Guarda quel beccafico come è grosso, pensò il cacciatore, quello me lo becco io. E gli sparò”. All’interno del libro una serie di conchiglie colorate scivolano sulle spiagge dell’Atlantico – chissà su quale sponda, Lisbona o New York? – come a segnare la distanza tra memoria personale e condivisione, tra incontro autentico e immaginazione.
Nel terzo libro che sfoglio, ecco un altro proverbio portoghese: “Al bambino e all’ubriaco Dio mette sempre una mano di protezione”.  Tra le pagine si susseguono le immagini michelangiolesche della mano di Dio tesa verso la mano dell’uomo. Storia dell’arte e creazione popolare si incontrano in un gioco tra archetipi di diversa estrazione. Incontri nell’incontro, terminati con un ricordo dei limpidi Cieli di Gribaudo – tenui interpretazioni degli spazi atlantici di Pessoa e Tabucchi – e con la nascita di una nuova opera di Charles, digitale e virtuale, questa volta, proiezione dei corsi e dei ricorsi che scavano le spiagge delle nostre esistenze.

Ezio Gribaudo, Teatro della Memoria, tecnica mista, 1965 - 2011

Ivan Fassio

venerdì 23 marzo 2012

Cosmos di Enrico De Paris alla Ermanno Tedeschi Gallery

E.T. De Paris, GOOD NEWS, mixed media – acrilico su tela, 2012, Ermanno Tedeschi Gallery
Continui innesti e immersioni negli spazi periferici del nostro tempo caratterizzano le intenzioni di Enrico T. De Paris. Nel nuovo spazio torinese della Ermanno Tedeschi Gallery, abbiamo passeggiato tra cosmi e microcosmi ancora inesplorati

Potremmo pensare che una serie apparentemente incontrollata di accumuli intenda distogliere definitivamente la nostra attenzione dalle intenzioni originarie di un’operazione artistica, per  innescare una successione di continui complementi strutturali. Alla stesso modo, aiutandoci ad entrare in un mondo complesso e arbitrario, la stessa sequenza di appendici e accorpamenti potrebbe portarci a riflettere sul proliferare indifferente e misterioso della vita e del progresso. L’artista Enrico Tommaso De Paris sembra proporci, oltre a tutto ciò, un ironico gioco di andata e ritorno tra ininterrotta produzione di senso e successivo scavo alla ricerca delle molteplici estensioni che completano l’opera.
La mostra COSMOS, che inaugura il nuovo spazio torinese della Galleria Ermanno Tedeschi, propone un percorso straniante ed eccessivo all’interno dei cosmi e dei microcosmi dell’artista. Pittura, scultura, installazioni, immagini digitali luminose e monitor contribuiscono a immergere lo sguardo dello spettatore in un mondo tanto immaginario quanto saldamente innestato su basi biotecnologiche.
All’interno di ogni universo pittorico o multimediale esposto in galleria, possiamo osservare ulteriori diramazioni di escrescenze e il proliferare caotico di comunità periferiche.  Due grandi polittici, H.O.T. e GOOD NEWS, rivelano il fondamento estetico dell’operazione: la creazione di un sistema che trae linfa vitale dalla realtà, ma che se ne distacca per crearsi delle proprie regole. FLUSSI presenta strutture molecolari e astrazioni, asimmetrici scavi all’interno di un immaginario plasma cellulare. In questo senso, continui innesti e nuove variazioni non possono che portare alla creazione di opere totali. LABORATORY, struttura dinamica in acciaio inox, rappresenta un carotaggio: una sorta di immersione indagatrice all’interno dell’uomo e della sua cultura. Creare per comprendere sembra essere il modus operandi privilegiato dall’artista. Contenuti psicologici e comunitari si sovrappongono e si trasformano per azionare, spontaneamente, una ricerca sul senso del nostro tempo e del nostro futuro.
Ivan Fassio – fonte Exibart

Dal 2 febbraio al 2 aprile 2012
Enrico Tommaso De Paris
COSMOS
Ermanno Tedeschi Gallery
Via Pomba, 14 – 10123 Torino
Orari: dal martedì al venerdì dalle 12.00 alle 16.00 o su appuntamento – ingresso libero
Info:  tel +39 011 4369917
fax +39 011 4357632

mercoledì 21 marzo 2012

Michael Hilsman a Torino - Galleria Glance

M. Hilsman, The Interpreter, 2012, oil on canvas, courtesy Galleria Glance
Alla sua prima personale in Italia, l’artista statunitense Michael Hilsman presenta il mezzo pittorico come strumento privilegiato per un’indagine su identità e percezione. Tra flussi di immagini e sensazioni.

Il tentativo di raffigurazione dell’io frammentato è una delle caratteristiche centrali della dimensione socio-culturale ed estetica contemporanea. Questa testimonianza sofferta si presenta, metafisicamente, attraverso i tratti di un’introspezione psicologica nostalgica e rassegnata. In altri casi, espressionisticamente, viene manifestata nell’ordine della scissione e dell’angoscia individuali. Queste sollecitazioni, quando si adattano formalmente ad uno stile e vengono elaborate impersonalmente, possono assurgere al livello di rappresentazioni universali.
Michael Hilsman (1984, Los Angeles) propone una pittura che, a metà strada tra i modelli precedentemente indicati, riesce a trascendere tanto le coordinate consolatorie, quanto la categoria della pura introversione. L’oblio di un’identità certa svilisce ogni visione soggettiva. La considerevole riduzione di volontà comunicativa porta ad accatastare linee, immagini e colori in un flusso indistinto che, al tempo stesso, pare generarsi automaticamente. L’accumulo di suggestioni sembra derivare da un’immersione spontanea nelle strutture della percezione. Argomenti e sensazioni personali sono posti su uno stesso piano di oggettivazione, in un vuoto narrativo. I segni non indicano più e tutti gli indizi di significazione si equivalgono. Ogni possibile simbolismo è, in questo modo, portato al proprio grado zero. Come in un continuo presente, ogni immagine è vergine e, tuttavia, caricata di infinite potenzialità significanti.
La mostra “Piccolo Grande Uomo” alla Galleria Glance di Torino è la prima personale italiana dell’artista. Segnalato dalla rivista Modern Painters come un giovane talento da osservare con attenzione, Hilsman considera la pittura un mezzo privilegiato per indagare il divario tra arte ed esistenza. L’esperienza artistica è sentita come luogo di conflitto tra personalità e ricerca di un’adeguata espressione della realtà. All’interno delle regole di composizione pittorica, ogni prova è indagine sulle infinite combinazioni di significato e possibilità di accedere a un più ampio raggio di comprensione e conoscenza.

Ivan Fassio, fonte: Exibart

M. Hilsman, Too Too, 2012, oil and acrylic on canvas, courtesy Galleria Glance
fino al 24.III.2012
Michael Hilsman
Piccolo Grande Uomo
Galleria Glance
Via San Massimo n.45 (interno cortile)
10123 - Torino
tel: +39 345.336.4193 - e-mail:info@galleriaglance.com
ingresso gratuito
orari: da martedì a sabato dalle 16 alle 19, in altri giorni e orari su appuntamento