Memoria minuitur nisi eam exerceas
(Cicerone, De Senectute)
Sallustio inizia il suo De Catilinae
Coniuratione con la descrizione di Catilina, aristocratico corrotto. La sua
figura è contestualizzata sullo sfondo della decadenza dei costumi romani,
dovuta all'accrescersi dell'ambitio,
volontà di potere, e dell'avaritia,
desiderio sfrenato di ricchezza. Definendo come archaeologia il proprio metodo di indagine del passato come
giustificazione del presente, lo storico propone un dettato personale, composto
attraverso una narrazione tutt'altro che lineare. L'autore inserisce, in questo
senso, una digressione storica per motivare le cause della decadenza: illustra
il passaggio dalla felice condizione delle origini di Roma alla dissoluzione
dei tempi contemporanei. Insiste su una serie di considerazioni ideologiche:
l'uomo, costituito da anima e corpo, deve coltivare le proprie qualità
spirituali per ottenere una gloria vera ed eterna.
Cicerone, nella quarta orazione
Catilinaria, era, allo stesso modo, cosciente di aver intrapreso contro dei
cittadini corrotti un conflitto che non avrebbe avuto fine. L'aiuto di tutti
gli onesti, tuttavia, e il ricordo di pericoli così gravi l'avrebbero difeso
dalla furia della battaglia.
Sia lo storiografo sia l'oratore
ricorrono al passato e alla memoria per difendere retoricamente particolari
convinzioni, per dimostrare la legittimità e l'efficacia di un'azione da
compiere. Ripresi nel Medioevo per i contenuti etici e in età umanistica per il
pessimismo moralistico, entrambi insistono sull'indispensabile ricorso a
processi mnemonici all'interno dei meccanismi della conoscenza.
Ezio Gribaudo allestisce la
rappresentazione di un passaggio di tempo millenario in un'esposizione
frammentaria, un'emersione di coincidenze, un affiorare di connessioni
tematiche. La facoltà di ricordare è la struttura sulla quale si regge
l'orizzonte di ogni legame plausibile. Casualità e razionalità coincidono,
perché in uno scavo archeologico ogni ritrovamento è possibile. Sulla scena di
questo teatro edificante, ideato attraverso l'istinto di ricerca del bibliofilo
e l'intuizione dell'iconografo, la retorica e la memoria si intrecciano. Storia
e linguaggio si avvolgono in un tessuto ecumenico. Protetta da un mantello
universale, l'opera si carica di un messaggio tanto secolare quanto mistico.
L'idea originaria scintilla nelle stratificazioni enigmatiche di un idioma che
si tramanda.
Colonne stampate, carte sparse,
didascalie e titoli si sovrappongono a tuniche, a maniche, a copricapi. La
parola è l'abito. Dell'uomo rimane soltanto l'atto retorico, la prossemica, la
fede incondizionata nella comunicazione. Le mani si fanno avanti, in una
lettura che non mostra più gli occhi, ma soltanto il proprio oggetto.
Sullo sfondo, i messaggeri di una
conquista emanano i loro editti, diffondono una legge, riconoscono congiure e
tradimenti, condannano decadenza dei costumi e degrado sociale. Il progresso
che propongono è senza volto, assoluto, adattabile e intercambiabile. Il loro
incedere rappresenta la gloriosa incommensurabilità delle idee di infinito ed
eternità, la fortuna della scrittura e la conseguente inevitabilità di una
narrazione parziale e incompiuta, tanto incompleta quanto umana.
Ivan Fassio
Ezio Gribaudo, De Coniuratione Catilinae, tecnica mista, 2012 |
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