martedì 1 novembre 2011

Cronache dell'Esistenza dal Mondo delle Macchine. La Luce Verde dell'Apocalisse di Jean Paul Charles

J. P. Charles, 2011


Un cronista medievale, dovendo raccontare il proprio tempo, si trovava costretto dalla tradizione a cominciare le proprie narrazioni dalla fondazione del mondo o, almeno, dalla nascita di Cristo. Conseguenza di questa consuetudine era una giustificazione del plagio. Ogni scrittore di cronache si poneva sulla scia di un altro storico: riportava stralci di opere, ricopiava interi passaggi, lavorava e interveniva su tagli di altri scritti. Il testo finale, nel suo svolgersi, risultava come un insieme eterogeneo sul quale si innestavano gli interventi dell'ultimo cronista. Un tessuto variegato e complesso: summa che si nutriva di notazioni mitologiche, sapere scientifico, teologia, aneddoti biografici. Il futuro, spesso, trovava spazio nelle credenze catastrofiche del millenarismo: la tesi di una fine del mondo terreno nell'anno Mille, desunta dalla lettura dell'Apocalisse, giustificava, con una conseguente idea di rinascita spirituale, particolari letture politiche e religiose della società.
L'artista Jean Paul Charles, come una sorta di cronista medievale, si avvale di una tradizione, di molti supporti e della volontà di rappresentare il proprio presente, scavando nella concatenazione di eventi che l'hanno generato. Non dipinge: il suo è un linguaggio di immagini, utile a testimoniare esperienze individuali e collettive. L'intervento gestuale ed estemporaneo su cartelloni pubblicitari, fotografie, pannelli e radiografie è il modo privilegiato di proporre una singolare narrazione. Quest'ultima, slacciata dalla classica trama e proposta come una sorta di flusso di fotogrammi, insiste, in una illimitata sequenza mistica, sui concetti di realismo ed espressionismo. Alla concretezza del materiale di supporto, si sovrappongono la spiritualità e il dolore delle immagini create dall'intervento dell'artista. Non vengono proposte particolari letture ideali dei tempi, tutto è giocato all'interno di una grammatica dell'immagine. Una logica della sensibilità si insinua nel flusso delle effigi e dei colori, fino ad accompagnarci nella scoperta di nuove dimensioni. Le prospettive dei paesaggi, le sembianze dei ritratti, il collage di immagini sovrapposte, fotografate, innestate costringono i nostri sensi ad interrogarsi sui concetti di riconoscibilità umana, geografica e storica. Il pulviscolo che scaturisce dalla disgregazione delle figure conserva un minimo di identificabilità, oppure scivola, s'incanala in direzioni sorprendenti e crea nuove illusioni. In questo senso, il futuro è apocalittico perché, da una parte, disumani e catastrofici sono i tempi che stiamo vivendo e, dall'altra, perché sorprendente può essere la rinascita vitale e spirituale che ci attende. L'ottimismo dell'opera emerge dal carattere catartico della testimonianza, dalla lucidità dell'espressione, dalla nascita di nuove, inaspettate stratificazioni simboliche.
Il percorso seguito da questo diario individuale e collettivo si avvale di svariati strumenti (fotografia, pittura, collage, radiografia, fotografia digitale) e supporti (tela, cartelloni pubblicitari, superfici riciclate, carta, vetro, vernici, smalti, acrilici), senza mai individuare un campo d'azione privilegiato o un'unica matrice di riconoscibilità. A partire dalle serie di opere precedenti al 2000, significativamente intitolate Fiore Geneticamente Modificato (FGM), passando attraverso i paesaggi dei Luoghi della Sopravvivenza e dei Luoghi della Contaminazione (2000 – 2005), l'approdo all'utilizzo di radiografie e collages si pone come gesto spontaneo nei lavori di Alienazione Informazione (2007).
Il recupero di manifesti pubblicitari e il conseguente intervento dell'artista con vernici e catrame nella serie di opere Generazione da Salvare (2008), la creazione di volti o figure umane attraverso l'utilizzo di impronte di scarpe in Smettila di Camminarmi Addosso (2010), sono gli antefatti per un ritorno ai colori della pittura nell'assemblaggio di tracce degli ultimi lavori, Apocalypse Green (2011). I trittici di recente produzione indagano la scomposizione dell'immagine, attraverso fotografia digitale, disegno, pittura. Particelle esplose rivelano il nucleo di una natura – umana, vegetale, inorganica – carica di significazioni. Riversano la propria potenzialità simbolica sui sensi dello spettatore.
La luce verde dell'Apocalisse è la misteriosa e tremenda insistenza della vita nel progresso dei tempi moderni. L'opera, attraverso l'intervento dell'artista, viene partorita con dolore dalla macchina che la teneva imprigionata. Maieutica delle sensazioni, l'operazione di Jean Paul Charles riporta alla luce l'enigma dell'esistenza da un mondo meccanicizzato e alienante. Una nuova dimensione sembra scaturire dal lavoro di scavo sul segno e sul colore, un'ombra di rigenerazione si staglia dietro ai contorni delle nuove immagini.


Ivan Fassio

J. P. Charles, Apocalypse Green, 2011

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