martedì 8 novembre 2011

Uno sguardo sull'orizzonte del ritorno. Intervista a Franz Paludetto


Intuizione ed esperienza sono le caratteristiche dell'operare spiazzante di Franz Paludetto. E il suo ritorno a Torino si pone, simbolicamente, come trait d'union tra storia e possibili scenari futuri

La collettiva da poco inaugurata al Castello di Rivara costringe il pubblico a riflessioni che superano un classico approccio tematico. Lo spettatore è spinto a porsi, criticamente, di fronte al processo creativo e alle sue motivazioni. La mostra di Francesco Sena a Torino, nel nuovo spazio di Via Stampatori, si presenta, sotto certi aspetti, come un ulteriore momento di analisi su tecnica e stile. Lo spazio di Roma, con una personale di Daniela Perego, completa questo intero percorso che muove tra immagini archetipiche e ritualità. Ecco le premesse necessarie per avvicinarci al presente del gallerista Franz Paludetto... che ci racconta, in questa intervista, il suo passato e i suoi progetti per il futuro.

I.F.: Il ritorno a Torino sembra legato ad una certa volontà di ripercorrere una strada che, proprio da Torino, si è spinta, nel corso del tempo, fino a Rivara, Calice Ligure, Norimberga e Roma. Una sorta di purificazione, di rito di passaggio? O, forse, un gesto mimetico nei confronti dell'opera di autori come Hermann Nitsch, Alighiero Boetti, Joseph Beuys: artisti che hanno accompagnato il tuo cammino e che, sebbene in modi completamente diversi, proponevano, dopo necessari processi di azzeramento stilistico e spersonificazione, ritorni rituali e percorsi a ritroso?
F.P.: Menzioni, nella tua domanda, artisti storici che hanno contato moltissimo nella mia carriera. Riaprire uno spazio a Torino dopo dieci anni di assenza è per me un ritorno a casa, quasi una ‘chiusura del cerchio’: da venticinque anni dirigo con grandi sacrifici e soddisfazioni il Centro d’Arte Contemporanea del Castello di Rivara e, nel 2010, ho aperto un piccolo spazio a Roma, ma la mia storia di gallerista è iniziata qui a Torino negli anni Sessanta, quando il punto di riferimento – per me e per molti altri - era Gian Enzo Sperone. Stimavo e stimo tuttora il suo lavoro, ma da subito cercai di assumere una mia identità assolutamente indipendente, scegliendo artisti che istintivamente avvertivo affini al mio modo di vedere e sentire l’arte.
Le mie iniziative non sono mai nate con o da un azzeramento. Ognuna di esse è stata fortemente personificata. Potremmo, a maggior ragione, definire quello che mi riporta sulla scena torinese un percorso a ritroso che vuole tracciare una prospettiva per il futuro: ho, infatti affidato, la direzione della galleria di Via Stampatori a mio figlio Davide. Manterrò, da parte mia, soltanto la curatela artistica: una sorta di ‘consulenza esterna’.

I.F.: L'ultima mostra Su Nero Nero, al Castello di Rivara, spinge lo spettatore a considerazioni sul grado zero dell'arte contemporanea. Si avverte, tra i tanti artisti coinvolti nell'evento, la ricerca di una matrice archetipica dalla quale ripartire per un nuovo approccio dialettico alle questioni stilistiche. Quale orizzonte si prospetterebbe, per galleristi e istituzioni, dopo una tale presa di coscienza?
F.P.: Posso assicurarti che la questione che mi poni si presenta ogni qualvolta la ricerca artistica persegua un avanzamento, un autentico progresso: penso, tuttavia, che il concetto di grado zero sia improbabile. Per quanto riguarda la condizione attuale, il grande problema è la mancanza di ideologia politica e sociale. Le istituzioni pubbliche, che hanno il compito di promuovere e conservare, troppo spesso non riescono a tenere il passo; dobbiamo tuttavia riconoscere che le ricerche contemporanee di ogni epoca hanno bisogno di periodi di decantazione.

I.F.: Francesco Sena a Roma nel mese di giugno e, ora, a Torino per l'inaugurazione del nuovo spazio in Via Stampatori. Il suo è stato un percorso che, spontaneamente e attraverso l'uso di diversi supporti e materiali, si è mosso tra la superficie della tela e la scultura. Anche in questo caso, la volontà è quella di presentare un artista che, a prescindere dagli strumenti utilizzati, ci faccia riflettere sulla nascita di ogni processo creativo?
F.P.: Francesco Sena utilizza la cera in maniera versatile, fascinosa, ma la questione non è, appunto, la scelta del materiale. Attraverso il supporto e il medium spesso avviene l’identificazione dell’artista, ma io vorrei porre l’accento su ciò che essi sottendono; qualcosa che ritrovo negli artisti della generazione di Sena, come Sergio Ragalzi, Paolo Grassino, Salvatore Astore.

I.F.: Quali saranno, in breve, i prossimi appuntamenti a Torino, Rivara e Roma? Presenteranno una continuità di tematiche e intenti con le ultime mostre?
F.P.: Per gli spazi di Torino e Roma, che saranno in dialogo costante, abbiamo in programma una serie di mostre di giovani artisti italiani e stranieri. Ad esempio, vorremmo mettere a fuoco le singole identità degli artisti più interessanti che hanno partecipato alla collettiva Su Nero Nero al Castello di Rivara. Per la stagione espositiva 2012 del Castello, visto il successo di quest’ultima mostra, ho in mente un nuovo grande progetto tematico…

Ivan Fassio

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