giovedì 22 settembre 2011

Su Nero Nero - A cura di Franz Paludetto - Castello di Rivara


Il quadrato nero del Suprematismo è paragonabile a segni primitivi in cui nulla viene illustrato, ma tutto può essere letto come riproduzione di sensibilità e ritmo. Giungendo ad una concezione di arte pura, non applicata, Kazimir Malevic teorizzava la conseguente cessazione della corrispondenza nei confronti di scopi di utilità o rappresentazione. L'artista, a partire da quel momento, non sarebbe più stato legato al piano della pittura, ma sarebbe stato in grado di trasportare le sue composizioni dalla tela nello spazio.

Carlo D'Oria, Fossili, 2011, Castello di Rivara, Photo by Marco Memeo


Muovendo da queste premesse, il percorso della collettiva Su Nero Nero a cura di Franz Paludetto ci accompagna senza forzature attraverso i molteplici tentativi di riflessione sul grado zero delle espressioni artistiche, siano esse legate a pittura, scultura e fotografia piuttosto che a performance e video. Il nero è componente contenutistica e, allo stesso tempo, recinto simbolico in cui porre le coordinate di un discorso su potenzialità e limiti formali e stilistici della contemporaneità.
Sergio Ragalzi forza la figura umana presentando simulacri di corpi che sembrano accumulare strati: immagini incerte, instabili perché in bilico tra lo spazio attivo della tela e la passività di un'espressione archetipica.
Le opere di Paolo Grassino sono di forte impatto drammatico. Il suo è un approccio dialettico alle categorie di realtà e artificio. Mutazione e instabilità dei concetti di riconoscimento e identità sono proposte in nere sculture di gomma sintetica o cemento.
La fotografia di Claudia Rogge sembra prendere vita da un particolare horror vacui, che, oltre a matrici psicanalitiche, presenta, in chiave ironica e teatrale, i disagi della civiltà contemporanea. Il colore nero vi partecipa come componente perturbante, è neutrale sfondo per ammassi di corpi, pose e situazioni.
L'opera di Marco Tirelli instaura un dialogo tra lo studio di strutture e la valenza percettiva di una certa sfumatura del nero. Mette in gioco la nostra capacità di visione e si inscrive, all'interno della mostra, come considerazione sul significato di segno e rappresentatività.
Le sculture Fossili di Carlo D'Oria portano in scena un'archeologia dell'umanità. L'uomo è riconoscibile come calco nella pietra, come reperto casuale emerso da chissà quale futuribile indagine. Resta rappresentabile – come se si trovasse in un quadro – nella riflessione antropologica dello scultore sul significato e sul valore della finzione artistica.
A conclusione di un ipotetico percorso attraverso le opere dei novanta artisti presenti, l'installazione concettuale Tele Lavate di Michelangelo Castagnotto rivela la chiave di lettura dell'intera mostra. L'arte supera sempre se stessa: soltanto l'uso artistico fa sì che lo spettatore si interroghi di fronte a qualcosa di dato incondizionatamente, a un corpus affrancato, per il momento, dalla progettualità della storia. Allo stesso modo, il nero è stato lavato dalla tela. Quest'ultima, stesa ad asciugare, ha conquistato lo spazio che Malevic aveva liberato un secolo fa.




Michelangelo Castagnotto, Le Tele Lavate, installazione, Photo by Marco Memeo


Ivan Fassio









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