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Non ci dice il tempo che ogni circostanza è soltanto una particolare disposizione di elementi. È la nostra logica a radunare questi tasselli per generare i fatti, per allineare le tappe della Storia. Credere negli eventi significa, quindi, avere fede nel linguaggio che li esprime. Occorre che il tempo storico scorra come un fiume su un letto di convinzioni e tra argini di strutture inconsciamente condivise.
Allo stesso modo, alla speranza per ogni avvenire e al compimento di ogni progresso è essenziale che la manifestazione di un principio possa incarnarsi in determinati avvenimenti. Nel presente, l'ideale sta all'azione così come, nella narrazione di una storia, la fiducia sta al linguaggio.
Volontà di cambiamento, risorgimento dello spirito e umanesimo poggiano sulla fede nella parola e nell'azione. Per credere, tuttavia, è indispensabile passare attraverso il nulla, cedere alla tentazione della vanità che emerge da ogni comunicazione, da ogni racconto, da ogni immagine. Al fine di recuperare autenticità, è necessario abbandonare rischiosamente la logica e ripercorrere emotivamente le certezze che puntellano la nostra biografia. Emergeranno, dalla distanza del tempo, le immagini care, gli alfabeti dell'infanzia, lo stupore e il dolore in forme appena riconoscibili, nelle sfumature o nei contrasti dell'emozione ritrovata. Se mischiare queste carte, formulando un catalogo interiore quasi incomunicabile, è un modo per ritrovare e giustificare una memoria individuale, sarà forse possibile tentare la stessa operazione per il recupero di una memoria collettiva.
Logogrifo 1970 di Ezio Gribaudo è un'archeologia emotiva della storia Italiana. La campagna e le innovazioni tecnologiche, la Chiesa e i salotti borghesi, cittadine di provincia e parchi incontaminati, la scrittura sacra e l'urlo delle avanguardie sono sorpresi nello scorrere confuso di fotogrammi cinematografici. Lo sforzo di memoria indugia commosso sui momenti dell'immagine e della parola come se queste ultime stessero scivolando inevitabilmente nel vortice dell'oblio. Ciò che dice il tempo, in questo modo, è la dorata vitalità del ricordo, il vociare indistinto e toccante di un'epoca.
Ivan Fassio
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