J.P. Charles, Incontro con Ezio Gribaudo, 2012 |
Le balene possono sorridere, ma non si vedono mai i loro denti. È un detto dei pescatori delle Azzorre che Antonio Tabucchi aveva scelto come aforisma introduttivo per un libro d’artista realizzato nel 1995 da Ezio Gribaudo. Mi fa pensare alla raccolta di racconti Donna di Porto Pim e ai temi cari all’autore. Naufragi: metafore di ogni atto mancato, di ogni intenzione persa sotto l’ineluttabile strato delle apparenze. Balene: simboli del mistero dell’anima umana. Viaggi: reali e immaginari, custodi dell’altrove che nutre i nostri spiriti, di ogni verosimile possibilità che muove l’invenzione.
Mi imbatto in questo proverbio alcuni giorni fa, quando accompagno l’artista Jean-Paul Charles nello studio di Gribaudo. Il pittore e fotografo francese sta completando un suo particolare viaggio di incontro con diversi personaggi del mondo dell’arte. Percorso di conoscenza e di scambio – reale e virtuale, al tempo stesso – che terminerà con la realizzazione di una serie di ritratti da esporre il 7 luglio 2012 alla galleria En Plein Air di Pinerolo. L’incontro con il Maestro si apre proprio con il ricordo di Tabucchi, scomparso il giorno precedente. Ezio Gribaudo l’aveva conosciuto durante uno dei suoi tanti soggiorni a Parigi, al cafè dell’hotel Lenox, di cui lo scrittore era assiduo frequentatore nelle ore serali. Da quell’incontro era nata una collaborazione che aveva portato all’esposizione nel 1995, alla galleria Stubbs Books and Prints Gouaches and Watercolor di New York, di una serie di libri d’artista. Creati come opere uniche, rilegando stampe originali, questi volumi erano introdotti da un proverbio scelto dall’autore di Sostiene Pereira. Come copertina, una particolare riproduzione grafica di un cielo, orizzonte sul quale erano impressi simboli, lettere, disegni.
In una delle opere, un’invenzione del nonno di Tabucchi: “Guarda quel fico come è grosso, disse il beccafico accingendosi a beccare il fico, quello me lo becco io. Guarda quel beccafico come è grosso, pensò il cacciatore, quello me lo becco io. E gli sparò”. All’interno del libro una serie di conchiglie colorate scivolano sulle spiagge dell’Atlantico – chissà su quale sponda, Lisbona o New York? – come a segnare la distanza tra memoria personale e condivisione, tra incontro autentico e immaginazione.
Nel terzo libro che sfoglio, ecco un altro proverbio portoghese: “Al bambino e all’ubriaco Dio mette sempre una mano di protezione”. Tra le pagine si susseguono le immagini michelangiolesche della mano di Dio tesa verso la mano dell’uomo. Storia dell’arte e creazione popolare si incontrano in un gioco tra archetipi di diversa estrazione. Incontri nell’incontro, terminati con un ricordo dei limpidi Cieli di Gribaudo – tenui interpretazioni degli spazi atlantici di Pessoa e Tabucchi – e con la nascita di una nuova opera di Charles, digitale e virtuale, questa volta, proiezione dei corsi e dei ricorsi che scavano le spiagge delle nostre esistenze.
Ezio Gribaudo, Teatro della Memoria, tecnica mista, 1965 - 2011 |
Ivan Fassio