a
cura di amalia de bernardis + ivan fassio
Una
Mostra con
Greta
Bertino, Davide Bonaiti, Vincenzo Bruno, Fulvio Colangelo, Marco
Corongi,
Marco
Da Rold, Gigi Galli, Andrea Massarelli, Ester Pairona, Adriano
Paltrinieri,
Hermann
Reiter, Cosimo Savina, Roberta Toscano, Erminio Vanzan
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Gallery
via
Giorgio Bidone, 16
Torino
Inaugurazione
venerdì 28 ottobre 2016 ore 18.30
fino al 10 novembre 2016
tutti i giorni dalle 12 alle 16, in altri orari su appuntamento
ingresso libero
per informazioni
3484612543 – 3382270563
fino al 10 novembre 2016
tutti i giorni dalle 12 alle 16, in altri orari su appuntamento
ingresso libero
per informazioni
3484612543 – 3382270563
La sfaccettatura è,
di fatto, precisa: tagliata dal tempo ché, sicura, è diventata più
lenta la mano. Se oltre si pone, o di fronte, lo scavo cercato per
quel che non c'è, d'immediato, sul senso; sondare si deve, di
fianco, la parte da dove, ignoto, nessuno è mai stato al presente:
allora sapere è un bisogno. Così nasce la scienza. La fotografia
illumina i sogni, quando sotto son scritte le ossa. Dalle arcate già
rotte, che spendono cerchi di luce, allo sguardo curioso di chi morti
un milione ne piange, stanno i forti a sperare preziosa la roccia.
Questa, una volta spezzata, un po' prima ghiacciata, sulla cima
dell'angolo, resta visione: era materia più corta, ma anima cruda,
anche com'era in miniera: carbone.
i.f.
I)
Catturare,
allo stesso tempo, il soggetto e il suo travaglio: gli accenni di
tutto il tempo passato e il mistero della nascita, l'enigma del
divenire. È il compito del ritrattista, la battaglia dell'artista.
La
pratica estetica, continuamente, fa immagini: nella scrittura, nella
musica, nella pittura. Questa creazione non ha nulla a che fare con
fantasia o ricordi, con determinazioni necessariamente sensibili. Al
contrario, la figura può essere intesa e percepita nella nudità di
un concetto, nel sentore di una predizione, nella purezza di un
contenuto, nel funzionamento di una formula: è la rappresentazione
che rimane impressa nelle profondità encefaliche, che solca il
nostro inconscio. La fotografia, in quanto trascrizione della luce,
ci dà sempre a priori un'illusione di verità, richiedendoci una
sospensione dell'incredulità. Sebbene non possa essere definita in
termini di verosimiglianza, poiché ogni scatto presuppone una scelta
di inquadrature e sottintende un punto di vista, essa richiede un
assenso preventivo. I dipinti, nel corso del secolo, ne hanno
succhiato l'illuminazione, assimilato la definizione.
II)
La
riconoscibilità del nostro profilo è il risultato di un compromesso
tra spirito e vita. Paghiamo il conto, per tanta consuetudine, ad
un’economia che ci piega: percepiamo, in questo modo, ciò che
conviene, inconsapevolmente. Come per un nome, la figura si fa
linguaggio – ci chiamiamo attraverso i lineamenti sgrossati,
utilizzando le fattezze stilizzate. Ci somigliamo definitivamente,
diventiamo noi stessi e coincidiamo con le sommarie parole che ci
definiscono: le nostre generalità, appunto. Ci rincorriamo nel
deserto come nella fotografia, tanto nella città concreta quanto
nella parcellizzazione informatica, eludendo il tremendo pericolo
della scena impossibile, del gesto inconcludente,
dell’irriconoscibilità del cambiamento radicale.
III)
L’opera
d’arte nasce al servizio di un rituale. Tenta di scongiurare la
morte e proteggere l’attimo dallo scorrere del tempo. Per abitare
le nostre coscienze e per scavare nel nostro linguaggio, in questo
modo, ogni creazione deve produrre una trascendenza. Nell’attesa di
questo avvento, l’opera si impone come fatto spirituale: gioco,
teatro, religione. Salvaguardando il proprio orizzonte
dall’alternarsi delle stagioni, conquista pazientemente il proprio
spazio nella percezione di ogni possibile –futuribile –
spettatore.
La
fotografia, nel suo fondarsi all’interno della dialettica tra atto
irripetibile e memoria, basa sulla contraddittorietà il proprio
carattere di arte contemporanea. Mostrandoci ciò che è stato, non
soltanto conserva, ma ci fa percepire la caducità di ogni istante.
La vita si estingue nel momento dello scatto, si congela: ne
rimangono le infinite possibilità di lettura, i diversi livelli di
interpretazione.
Dall’immagine
fotografica, allo stesso modo, si libera l’incolmabile divario tra
vita e eternità. Amore e morte restano le facce di una stessa moneta
nella fatalità dell’atto sacrificale, nel gioco della sensualità,
nel fascino o nella disarmonia del gesto teatrale.
Ivan
Fassio