Jean Paul Charles, 2012 |
Sacro terrore libera il mondo. Riunisci te stesso e il tuo amato nell’atto di nascita. Riprendi quel cerchio di sete, del roseto annoda le trecce: un miracolo altare, oltre il resto rimasto. Tre stracci stesi a un paletto, dell’uomo ben strana la scorza.
Malattia della croce sfiata uno sforzo. La foce ne pesca l’avanzo, ingolfata: questa storia di santo, sospiro nel chiodo del male, anima gloria. Calciare le cose, renderle inutili, nello spasmo di giorni inconclusi. Lo scontrarsi violento di porte scassate. Un rumore selvatico. La matrice: questo cedere oggetto, dove sbatte la testa e rimane l’inizio. Momento senza memoria è il fardello, supremo distacco. Un rimbombo di onde, le nubi più gonfie nel letto, a strati costretto spavento di mostro bramato. Eppure, statico accento è di dolce malanno il rifugio. Da urla ritorna la calma di grotte, l’acceso riflesso, fissato in ottuso metallo.
Calare le funi, giù al fiume adirato, rovesciare in groviglio l’estate. Un tempo d’angoscia abitare. La vita è quel cerchio di sete, un tuffo nel mare. Di cuore è la lotta: non nata, sprecata, l’idea mai venuta alla luce.
Ivan Fassio